Tu sei qui

TEST YESTERBIKE Suzuki Vallelunga 750, rodeo d'asfalto per toro scatenato

Quando al salone di Tokyo del '70 apparve la Suzuki 750 GT nessuno avrebbe mai immaginato che questa tranquilla Granturismo sarebbe stata trasformata in una bestia da pista

Moto - Test: TEST YESTERBIKE Suzuki Vallelunga 750, rodeo d'asfalto per toro scatenato

Questo test è stato pubblicato nell'ottobre del 1980, 40 anni fa. Si era quasi alla fine della prima era delle 'derivate di serie', moto effettivamente derivate da una produzione che le aveva concepite per tutt'altri usi che la pista.

In questo caso la 'Vallelunga' era derivata dalla 750 GT, una vera moto da turismo. Poiché però vincere, o anche solo partecipare a quel tipo di gare, era una buona pubblicità per le vendite venne fuori questa macchina qui: un tricilindrico 2 tempi con manovelle a 120°, 70X64, con tre Mikuni da 34 mm e cambio a cinque marce.

Pesava 190 Kg e non era propriamente un giocattolo da guidare, ma il motore era potente, spingeva molto anche se nei tracciati tormentati lunga 2215mm e alta 1125, non era propriamente una moto maneggevole.

Con questi test d'epoca spero di farvi conoscere alcune moto da corsa degli anni '70 e '80. E ringrazio l'amico Roberto Pontiroli Gobbi per avermi permesso di usare il nome Yesterbike, che è un motoclub che unisce tutti gli appassionati delle moto d'epoca.

L'articolo è come lo scrissi all'epoca, nulla è stato aggiunto o tolto. Quando rivedo quegli scarichi con le espansioni a 'spillo', senza silenziatori, ricordo che quando furono introdotti nei Gran Premi ci incazzammo tutti: non si poteva silenziare la voce ai tenori!


Quando la Suzuki GT 750 apparve al Salone di Tokyo nel ’70 furono in molti a classificarla subito una elegante ‘berlina’ da autostrada, ma nulla di più.

Il suo pubblico andava dunque ricercato più fra i motociclisti senza ambizioni che fra gli inguaribili smanettoni che trasformano ogni esse di qualche stradina fuori mano nella variante bassa di Imola.

A quei tempi, però, furoreggiavano le gare per moto di serie alle quali le Case, in un modo o nell’altro avevano dimostrato di interessarsi, sensibili al lancio pubblicitario che ne derivava.

Era dunque già nata l’SFC 750 della Laverda e già si sollevavano le prime polemiche sulla opportunità di snaturare il significato di questo genere di competizioni con l’introduzione di modelli perfettamente rispondenti ai regolamenti di allora ed ovviamente in libera vendita ma, ahimè, espressamente concepiti per essere portati in pista.

Le Case spingevano le 'derivate' e la Suzuki aveva fra le mani solo il suo tricilindrico 2 tempi

Ogni casa si arrangiava con quello che aveva e la Suzuki fra le mani aveva solo il suo tricilindrico due tempi raffreddato ad acqua chiamato affettuosamente ‘il termosifone’. Per quel radiatore che straboccava da tutte le parti. Sicuramente era meno fortunata della Triumph che aveva nel ‘Trident’ un’arma totale e anche della Norton che con il suo giallo ‘Production racer’ - familiarmente PR - non aveva poi quel gran motore, ma una guidabilità e leggerezza a tutta prova.

Con quel che aveva dunque si trovò a dover scendere in campo e nonostante i regolamenti permissivi, non è che si potesse far molto.

La prima apparizione del 750, denominato “Vallelunga” (anche allora come ora l’autodromo romano ospitava la maggior parte delle gare per derivate), proprio a Vallelunga, nel 1973 suscitò la perplessità degli addetti ai lavori. Ne furono costruiti appena 100 esemplari, venduti al (bel) prezzo di due milioni di lire.

La Granturismo di Hamamatsu era stata trasformata in una tozza bestia da combattimento

Il GT era stato trasformato in una tozza bestia da combattimento con un grosso serbatoio, un cordone ed un capolino che scendeva a coprire i fianchi del radiatore. Fu così che il neonato ‘Vallelunga’ si ritrovò con un altro soprannome sulla gobba: “il cassettone”, che nella fantasia dei romani stava a ricordare quel mobile un po’ ingombrante che funge da ripostiglio.

Dopo alcune gare non fortunatissime di Sciaresa-Barzanti e di Cereghini-Blegi furono in molti a ricredersi. Il tre cilindri appariva difficoltoso da portare e con una ciclistica non propriamente delle migliori, ma era in compenso spinto dal più potente motore del lotto. Una impressione che fu riconfermata con il passare degli anni e nonostante l’apparizione del Ducati SS 750, dalla nera macchina di Sartini fino ad arrivare a quella coloratissima che per ultimo Simani ha portato a combattere nell’ostile ‘piccolo’ di Campagnano.

Un test in pista con questa macchina ha dunque la funzione un po’ nostalgica di ricalarci nel mondo delle derivate di qualche anno fa, quando al posto delle nervose prove sui 10 giri si gareggiava nelle 500 Km.

Dove la GT di serie si fermava, la 'Vallelunga' iniziava ad esprimersi in un fragore d’inferno

La Suzuki dichiarava per la GT una potenza di 67 cv a 6.500 giri, ma il Vallelunga è un’altra cosa: a quel regime comincia l’esplosione dei cavalli. I giri salgono rapidamente e di potenza ce n’è fino a 8.500.

Sdraiati con il petto attaccato a quel ‘mobile bar’ che è il serbatoio il rettilineo di Vallelunga è divorato in un fragore d’inferno originato dalle espansioni prive di silenziatori.

La posizione distesa non è una novità: a quei tempi si doveva badare all’integrità fisica del pilota che si sorbiva 250 Km in due turni. Anche l’assetto lungo della SFC rispondeva a questa esigenza. Ovviamente una guida così sdraiata è inutile ma continuando ad inanellare giri su giri, senza che la temperatura dell’acqua denunci alcun affaticamento del propulsore e rimanendo sui 70° ci rendiamo conto che, pur non dovendo tenere in piedi il bestione su distanze così catastrofiche anche per un esperto di Yoga, sul 750 Vallelunga ci si stanca.

La guida ad una andatura da turista in pista non è comunque ancora affaticante. La moto si lascia inclinare ed è leggera fra le mani anche se la si sente piuttosto ‘strana’, come se stesse cercando da sola una posizione diversa per esprimersi al meglio.

E’ forzando che si deve dar fondo alle proprie risorse atletiche. Alcuni dei suoi piloti montavano i Pirelli Gordon, che indurivano ulteriormente la guida, ma il nostro Vallelunga ha le scarpe con cui è nata: un bel Michelin PZ2 anteriore ed un TY2 sulla ruota posteriore che a sentire gli uomini di Clermont era nato da un primigenio click scolpito a mano, nonostante questo ogni uscita di curva ti impegna come una mossa di judo in cui stai cercando di non farti sbattere con la schiena in terra dall’avversario.

Con la Suzuki Vallelunga impegno massimo in uscita di curva

Il maggior impegno atletico lo si profonde più che in staccata, quando fermare il peso elevato richiede solo una fatica più sensibile sulle mani e gli avambracci in uscita di curva quando la sollecitazione sulla ciclistica è massima.

Il suo punto nero è la stretta esse del circuito dopo il tornantino da prima ma più che la prima la seconda curva, quando dalla piega a sinistra si passa rapidamente sulla destra.

Il tutto quasi con il motore sempre in tiro ed accelerando vigorosamente al massimo mentre la Suzuki, mostrando di non gradire la brusca variazione di assetto, inizia a scodare in maniera raccapricciante. Intendiamoci: la moto sta in strada sennò non saremmo qui a scriverlo, ma la traiettoria con cui si dirige verso il cordolo esterno e un breve sinuoso serpente che costringe il pilota a domare il mezzo meccanico con tutto il corpo.

E’ il telaio di serie, che non riesce a sopportare tutti quei cavalli che si scaricano sulla gomma posteriore.

Le moto ufficiali, quelle che tanto per intenderci, correvano a Daytona, avevano traversini di rinforzo nella parte posteriore del telaio e tutta un’altra ciclistica ma ci consola il fatto di non avere anche noi un accorgimento simili, con la consapevolezza che simili mezzi a ben poco servirono a rendere più facile la guida.

Qualche soddisfazione la si prende però quando si incontra un’altra anziana derivata all’uscita della Roma la curva più veloce del circuito di 1.600 metri. Non importa la cilindrata: sia essa una Honda od una Kawasaki 1000 od un potente Ducati 750 non ci sarà proprio nulla da fare, il meschino si vedrà sfilare con 20 Km/h in più senza pietà solo aumentando la rotazione sulla manopola del gas. Riandando però con la mente alle gare il difficile semmai era rimanere attaccati alla ruota degli avversari quando contando su tutt’altro telaio la Ducati accelerava ancora in piega.

 

Per informazioni sul Moto Club Yesterbike scrivere a [email protected] o  telefonare ai numeri 06 44.62.568 e/o 338-272.59.29

Articoli che potrebbero interessarti