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YESTERBIKE A 190 Km/h con la Ringhini 50: la 'zanzara' tigre

TEST ANNI '70 In sella alla Ringhini 50 ex Ieva, una elaborazione sul Kreidler, preparata dall'ex pluricampione italiano Ieva e Eddy Rossi: erogava 16 cv a oltre 16.200

Moto - Test: YESTERBIKE A 190 Km/h con la Ringhini 50: la 'zanzara' tigre

Avevo 24 anni il gennaio del 1978 quando, a Vallelunga, Paparazzo e Ieva mi prestarono guanti e stivali - il casco era il mio, probabilmente ero lì in moto - per farmi provare la Ringhini 50. Andava così a quei tempi, vai e guida!, e non fu l'unica volta che mi accadde. Ho sempre amato le moto (ed anche i sidecar!), di qualsiasi cilindrata fossero. E sempre ammirato qualunque pilota fosse capace di portarle al limite.

Con questi test d'epoca spero di farvi conoscere alcune moto da corsa degli anni '70 e '80. E ringrazio l'amico Roberto Pontiroli Gobbi per avermi permesso di usare il nome  Yesterbike, che è un motoclub che unisce tutti gli appassionati delle moto d'epoca.

L'articolo è come lo scrissi all'epoca, nulla è stato aggiunto o tolto. Buona lettura.

 

Come nasce la voglia di provare una delle moto più contestate come è appunto il 50? Sicuramente non per caso. Ma certo l’incontro con Alberto Ieva e il suo Ringhini 50 già venduto allo junior Paparazzo, ha voluto dire molto.

Il pilota romano è sempre stato fra i più convinti assertori della validità del cinquantino anche nelle gare di campionato del mondo.

“Ci deve essere solo la voglia di dare spettacolo - dice - e se un pilota si mette in testa di farlo anche la gara delle ‘zanzare’ può fare la sua bella figura".

E’ un attimo, una tuta prestata, qualche avvertimento, la solita attesa che l’acqua arrivi in temperatura e si è seduti sul microscopico sellino con le ginocchia in bocca, pronti per un giro di Vallelunga. Davanti a noi un contagiri Krober tarato a 16.000: un regime decisamente insolito anche per una mentalità sportiva, figuriamoci per l’appassionato comune.

Il 50 vuole un attimo di raccoglimento prima di partire, bisogna fare mente locale e controllare le nostre dimensioni, per rassicurarsi di “starci” veramente tutti dentro.

Il cambio, a sei rapporti, con la sequenza delle marce all’italiana. La moto ha i cerchi Campagnolo in lega ed i freni a disco. E’ minuscola eppure dicono che sia capace di velocità attorno ai 190 Km/h. Con il gas in mano, do la classica pedalata che tante volte tutti abbiamo visto fare a Lazzarini e co., il motore si accende e borbotta. Stiamo sfrizionando che ci piange il cuore ma evidentemente non deve essere sufficiente perché l’ago del Krober, con la scala che parte da 10.000 non accenna a muoversi: dobbiamo essere sui 6-7.000. Decisamente troppo poco.

Altra sfrizionata assassina: l’ago si muove, oscilla attorno ai 12.000 e la zanzara si muove, ogni volta però che si fa per lasciare la frizione al suo destino il Krober riammutolisce e ‘lento pede’ il cinquantino sembra sul punto di spegnersi. Nessuna pietà e mano sulla frizione: insistiamo sui 12.000 e l’ago sale di scatto, rabbioso e improvviso il motore si mette a tirare mentre ci portiamo la frizione slittante fino dentro la Viterbo. Roba da frizione a pezzi con qualunque altro tipo di motocicletta.

13.500, 15.000: ago a fondo scala. Siamo riusciti a mettere la terza mantenendo il regime di un paio di centinaia di giri superiore ai 12.000, dove il Ringhini comincia a tirare senza dover ricorrere troppo alla leva che si trova sulla sinistra del mezzo manubrio.

E’ incredibile la concentrazione richiesta per portare questo affarini da 16.000 giri: una svista, una toccata ai freni appena più forte in ingresso di curva, una traiettoria appena sbagliata in uscita e sei lì: irrimediabilmente e indicibilmente fermo che lavori con la frizione con un occhio al contagiri nell’attesa della coppia che è errore micidiale perdere.

La guida , a Vallelunga ma pensiamo anche negli altri circuiti, è intessuta di sviolinate a suon di ‘leccatine’ di frizione, di micro-mosse per assecondare il gingillo che anche nel migliore dei casi pesa meno del suo pilota.

Il 50 non è una motocicletta nel vero senso della parola. Perlomeno se intendiamo per motocicletta un mezzo che tenga le ruote dove tu le hai messe. Con il 50 qualsiasi curva è un interminabile serpeggiare, al limite del limite dell’aderenza, con gomme da 2.00 che ti fanno tenerezza a guardarle. Il problema principale, a parte le caratteristiche del motore che impongono al polso destro di non perdere mai la fiducia a tenere tutto aperto, per un pilota di media altezza, è starci dentro raccolto.

Sul rettilineo, con un capolino più piccolo del casco e un sellino da fachiri e una carenatura che per essere efficiente richiede l’”incastonatura” del pilota si ragiona così:  testa bassa, non fa nulla se non riesci a vedere la pista: son 300 giri di motore in più. Braccia allargate? Sei nei guai, quando riuscirai a vedere tutti i 16.200 giri di motore?

E la staccata? Importantissima anch’essa, a questo punto. Le marce le devi scalare tutte insieme quando sei già ‘dentro’ alla curva, se non il motore cala sotto i 12.000 e sei fritto.

A Vallelunga, dopo un buon periodo di affiatamento si riesce a girare intorno ad 1’09” con questo affarini, ma a vedere Alberto Ieva che scende di qualche decimo sotto l’1’05” viene da domandarsi come faccia.

Noi giriamo nell’ansia del Tornantino che ci si ripresenta puntuale ad ogni giro. Bisogna prenderlo velocemente, sprigionare per tenere il motore al regime giusto, piegare per quanto è possibile farlo con gomme da 2,25 (ma si può più di quanto si creda) e, se nonostante tutto questo il motore è calato di qual paio di centinaia di giri, aiutarsi di nuovo con la frizione nella santa illusione di non aver perso troppo tempo: il cronometro a quel giro ci smentirà.

Si è parlato di un 50 che affina inverosimilmente la pulizia di un pilota, ed è vero, poiché il cinquantista sa bene cosa significa entrare serpeggiando, per esempio, dentro una curva Roma con l’occhio rivolto alla migliore traiettoria, ben sapendo, tra l’altro, che uno sbaglio di qualche metro può compromettere tutto. Anche perché quando una “zanzara” è partita, è partita veramente.

La ciclistica di queste moto, e specialmente della Ringhini della nostra prova, è particolarmente accurata puntando i risultati soprattutto sulla leggerezza e sulla morbidezza dei comandi.

La frenata, con il mini disco davanti, è piacevole e proporzionata al mezzo, così come le sospensioni che annullano, nel possibile, gli eventuali saltellamenti che la pista romana riesce a tirar fuori da qualsiasi motocicletta. Anche le gomme, le Michelin M38 PZ2 da 2.00 ant e 2.25 post hanno contribuito ad una migliore guidabilità poiché i vecchi Dunlop KR73 “a pera” con la loro carcassa rigida accentuavano i problemi di stabilità congeniti dei 50.

Per fare un esempio, ci siamo permessi di entrare a ragguardevoli velocità dentro la curva Roma e ignorando (o quasi) le sue famose buche che sono oggetto di interminabili discussioni fra i piloti che le ritengono un chiaro indice circa la tenuta di strada del mezzo,

Ma il 50 è una moto (ma sì, chiamiamola così) che si deve guidare per capirla e capire poi le gare che la vedono come protagonista.

Chi non ci ha mai messo il sedere sopra vedrà solo la scarsa velocità, e fra tanti sibili non ravviserà quello del motore sotto coppia, non si accorgerà del continuo serpeggiare, del saltelli della gomma posteriore di 10-15 cm quando la guida è “alla Ieva”.

Per apprezzare anche i 50 basta fare mente locale, scordarsi le impennate tanto sceniche della Suzuki RG 500. E’ più semplice che un motociclista normale riesca a fare un giro di pista con la RG 500 che riesca solo a terminarla con una zanzara.

Lì è una difficoltà data dall’enorme potenza a disposizione che si deve dosare, qui dalla necessità di fare un tutt’uno con il mezzo per ‘capirlo’. Non è certo una difficoltà minore, e non è detto che i primi siano i più bravi. In fondo in fondo basta rendersi conto che è rischio, scena ed abilità anche la guida dei piloti delle minime cilindrate.

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