Continuano le dirette sulle pagine social di GPOne, e nella live odierna gli ospiti sono stati ben due. In collegamento con Marco Caregnato, Riccardo Guglielmetti e Gianmaria Rosati vi sono stati infatti Marco Melandri e la moglie Manuela Raffaeta, che dalla loro casa in Trentino hanno raccontato la carriera di Marco dai rispettivi punti di vista. “Mi sono trasferito qui per amore – racconta Marco – ed ora la situazione è un po’ surreale, dato che non essendoci persone in giro gli animali si sono avvicinati ai paesi, ieri per esempio in un paesino vicino hanno avvisato per strada un lupo”.
Come procede la tua quarantena?
“Bene, vivo immerso nel bene e mi rilasso, oltre che allenarmi in bicicletta sui rulli sfidando virtualmente amici ed altri piloti. Mi godo quello che mi sono goduto meno in passato, a partire da mia figlia”.
Parliamo della tua carriera. Se potessi cambiare una stagione, quale sarebbe?
“Credo che l’inizio dei miei problemi sia stato a fine 2005, quando dopo aver fatto secondo nel mondiale con Gresini pensavo di meritare la Honda ufficiale, ma purtroppo non ero spagnolo. Ho capito che dovevo guardarmi attorno così scelsi la Ducati, e da lì iniziarono i problemi perché per varie ragioni dovetti cambiare moto molto spesso, quando la continuità è invece un ingrediente fondamentale”.
Cosa ricordi della stagione con il team Hayate?
“E’ stata una stagione particolare, dove non ho mai pensato di non farcela, dato che la moto ha sempre avuto potenziale ed il gruppo era davvero affiatato. Ho pensato di non farcela solo nel 2015 con Aprilia, non ho mai creduto in quel progetto: gli dissi chiaramente che quel progetto sarebbe potuto funzionare in futuro, ma non certo in quel momento. Io diedi la mia disponibilità a correre in Superbike ed a fare il tester per la MotoGP, ma per loro non andava bene”.
A proposito, non hai mai pensato di fare il tester post ritiro? Del resto diverse volte le tue sensazioni furono giuste, ad esempio in Ducati MotoGP
“Mi viene da ridere perché ripenso alle prime parole che dissi a Preziosi dopo la prima giornata in sella alla Ducati. Gli dissi che secondo me quel motore assomigliava ad un Ciao scarburato: per tutto il giorno gli dissi cosa non andava secondo me, ed alla fine cercai di farmi capire in questo modo. A parte ciò non ho mai voluto fare il tester, perché non ho mai amato particolarmente i test”.
L’abbandono di Zarco alla KTM ha ricordato a molti le tue difficoltà in MotoGP con Ducati ed Aprilia. Cosa porta un pilota ad agire in quel modo?
“E’ una questione di sensazioni, poi c’è da dire che Zarco non si è fermato gratis. Le mie situazioni con Ducati ed Aprilia sono state diverse tra loro: in Ducati scelsi io di andare, arrivai nel momento sbagliato dato che Stoner vinceva ed a me la moto non piaceva, erano tutti contro di me e nel frangente era giusto. Ducati mi fece incontrare degli psicologi ma non era possibile risollevare la situazione, pensai che avevo guadagnato abbastanza e che dovevo tornare a divertirmi, così barattai il secondo anno di contratto con la possibilità di provare già nell’agosto di quell’anno un’altra moto: provai la Kawasaki e capii che sapevo essere ancora veloce, così decisi di cambiare aria. A posteriori forse avrei fatto una stagione in più con Ducati, ma in quei momenti vivi di sensazioni”.
Hai provato tante moto diverse, con quale hai provato la sensazione più bella?
“La Honda V5 direi, era il giusto compromesso di tutto. Il controllo di trazione in quella moto era un aiuto, mentre ora è uno stile di guida”.
Una moto rimasta nel cuore di molti che tu hai guidato è la RSV4. Che ne pensi?
“Credo sia la Superbike migliore che io abbia guidato, nonostante le tante difficoltà incontrate in stagione. Il giorno dopo la mia firma Dall’Igna se ne andò, ed Albesiano non aveva esperienza nel mondo racing: abbiamo buttato la prima parte di stagione per delle cavolate, ed una volta iniziato a vincere non dovevo più farlo, ogni mia vittoria era una coltellata all’azienda. Pensavo di raccogliere i frutti l’anno successivo, invece mi portarono in MotoGP controvoglia. La RSV4 è una moto che con poco potrebbe ancora dire la sua ai massimi livelli”.
Cosa pensi della prima gara della stagione 2020 della Superbike?
“Non ho visto le gare in diretta, in primis perché sento di dovermi staccare un po’ avendo appena smesso. Tutto sommato guardare la MotoGP mi fa meno effetto, dato che vi sono tanti piloti con cui non ho corso. Mi piace molto Razgatlioglu, è un giovane su cui puntare per varie ragioni: mi aspetto un campionato equilibrato, anche se Phillip Island è una pista particolare e le cose potrebbero cambiare. Rea forse ha ancora qualcosa in più degli altri, Redding credo dovrà puntare sulla regolarità e ci può riuscire”.
Sei rammaricato per non aver provato la Panigale V4?
“Credo che sarebbe stata la moto giusta per me ed il pilota giusto per lei. Io ed Alvaro siamo simili sotto vari aspetti: ho chiesto a Ducati di provarla per capire se sbacchettasse sul dritto come la V2, ma loro avevano già deciso di farmi fuori. Mi ha dato il fastidio il fatto che non mi abbiano detto la verità: Bautista portava soldi mentre io sarei costato più dell’anno precedente. Io comunque dissi a Ducati che Davies avrebbe faticato sulla V4, dato che la sua guida si adatta al V2 ed è difficile cambiarla dopo tanti anni. A proposito di Bautista ho un aneddoto relativo all’anno scorso”.
Spara.
“Il giovedì di Laguna Seca parlai con la mia ex squadra in Ducati, e dato che avevano il box 17 gli dissi “Potete andare al mare perché con quel box non fate un punto” ed andò proprio così (ride ndr). Li rincontrai la domenica sera e gli dissi “Trattatemi bene o vi faccio andare Bautista in Honda” e due settimane dopo la cosa avvenne (ride ndr)”.
In che rapporti sei rimasto invece con Davies?
“Alla fine dell’ultima stagione eravamo d’accordo sul fatto che avremmo avuto sempre due idee diverse. Abbiamo discusso forte un paio di volte perché quando si agita diventa aggressivo, ma lo stesso vale per me perché sono per metà siciliano (ride ndr)”.
L’anno scorso sembrava che in ottica 2020 ci fosse la possibilità di tornare in Ducati con il team Barni. Per quale ragione l’operazione non è andata in porto?
“Ho parlato con Barnabò (patron del team Barni) in diverse occasioni, è una brava persona e fa le cose nel modo giusto. Mi era balenata in mente l’idea per un po’, ma poi ho pensato che fare un anno in più non sarebbe servito a molto, così decisi di smettere. Mi chiese di andare a fare i test a gennaio in sostituzione di Camier, ma ho preferito evitare perché se mi fosse piaciuta la moto sarebbe stato un problema”.