Di Stefano Aglianò
In questo periodo di stop forzato allo svolgimento di gare e manifestazioni sportive di vario genere, si ha più tempo da dedicare agli spunti tecnici che i recenti test pre-campionato MotoGP ci hanno offerto. Il più discusso, come spesso accade quando viene introdotta qualche novità tecnica dagli ingegneri di Borgo Panigale, è il dispositivo ribattezzato “holeshot 2.0”. Per chi non abbia mai sentito parlare del dispositivo che varia l’altezza della moto, o volesse semplicemente rinfrescare la memoria, può trovare ulteriori informazioni qui e qui.
Come fa intuire il suffisso 2.0 non si tratta di una novità assoluta. L’holeshot era già stato introdotto nella passata stagione da Ducati per abbassare il posteriore della moto ed era usato solo al via del gran premio. Il pilota poco prima di schierarsi sulla griglia di partenza comprimeva la molla del mono-ammortizzatore grazie all’utilizzo del freno posteriore, a quel punto, tramite un comando meccanico posto sulla piastra di sterzo, innestava il blocco della sospensione per contrastare l’impennamento. La versione evoluta del dispositivo invece, permette di variare l’altezza della moto durante qualsiasi fase della guida. Il pilota può intervenire sul sistema tramite due pulsanti di derivazione ciclistica. (Clicca qui per maggiori dettagli).
II sistema risulta particolarmente utile in fase di accelerazione in uscita dalle curve. La moto, accucciandosi sul retrotreno contrasta la naturale tendenza all’impennamento, ma genera benefici anche in staccata andando a ridurre il fenomeno del ribaltamento. In generale il dispositivo permette di diminuire il trasferimento di carico sia in accelerazione che in frenata ed è azionabile a discrezione del pilota. Si ha un ulteriore vantaggio in rettilineo poiché variando l’altezza del posteriore della moto si ha un incremento dell’angolo di sterzo che conferisce maggior stabilità a discapito della maneggevolezza. Quest’ultima caratteristica, che risulta utile specie nella fase di inserimento in curva, può essere ripristinata dal pilota agendo sul pulsante che disattiva il sistema e ristabilisce le originarie quote ciclistiche.
Ripercorsa rapidamente l’evoluzione del dispositivo, appare evidente che uno dei principali obbiettivi ricercati dai tecnici, indipendentemente dalla fase di guida in cui il sistema venga utilizzato, sia quello di migliorare l’accelerazione. L’ovvio traguardo di percorrere una determinata distanza nel minor tempo possibile è limitato principalmente da due fenomeni: l’aderenza e l’impennamento.
Applicando congiuntamente le equazioni di equilibrio delle forze verticali e l’equilibrio dei momenti, ad una motocicletta che avanza di moto rettilineo, si ottiene che le reazioni vincolari, scambiate verticalmente dalle due ruote nei rispettivi punti di contatto con l’asfalto, abbiano entrambe la medesima struttura matematica: la somma (o differenza) di due addendi. Il primo termine detto carico statico dipende dalla distribuzione del peso quando la moto è ferma, il secondo dettato dal trasferimento di carico risulta proporzionale all’altezza del baricentro dal suolo.
Carico dinamico ruota anteriore = carico staticoant. – trasferimento di carico
Carico dinamico ruota posteriore = carico staticopost. + trasferimento di carico.
Essendo il trasferimento di carico dipendente dal baricentro una diminuzione dell’altezza di quest’ultimo consente di ridurre l’affondamento delle sospensioni. Questo è uno dei motivi del perché si è deciso di adottare un accorgimento che permetta di variare l’altezza del baricentro. Per completezza della trattazione, si precisa che il trasferimento di carico dipende anche dalla lunghezza del passo (distanza longitudinale tra gli assi delle ruote) e più precisamente dal rapporto tra il baricentro e quest’ultimo. In altri termini per limitare il trasferimento di carico si può sia ridurre l’altezza del baricentro dal suolo sia aumentare il passo.
Primo limite: aderenza
Tralasciando l’ipotesi che il motore non sviluppi sufficiente coppia e potenza, problema che di certo non affligge le moto da competizione vista l’enorme “cavalleria” che hanno a disposizione rapportata al peso, si consideri per la seguente trattazione una motocicletta che stia accelerando. Un limite al raggiungimento della massima prestazione è rappresentato dal coefficiente d’attrito presente tra pneumatico e suolo. Più dettagliatamente la forza motrice “scaricabile a terra” deve essere minore o al massimo uguale al prodotto tra il suddetto coefficiente e il carico dinamico che grava sulla ruota posteriore. Eccedere tale limite si tradurrebbe in una perdita di aderenza e di conseguenza di accelerazione. Introducendo nella trattazione la forza di resistenza aerodinamica (orientata in verso opposto all’avanzamento e applicata nel baricentro) ed utilizzando l’equazione di equilibrio delle forze orizzontali combinata con le altre già introdotte, si osserva che la massima accelerazione ottenibile (per slittamento) è composta da un primo termine dipendente dal coefficiente d’attrito e dalle quote geometriche della moto a cui viene sottratto un secondo dipendente dalla forza di resistenza appena introdotta (spesso denominata con il termine anglofono “drag force”).
Il secondo termine ha segno negativo quindi all’aumentare della resistenza aerodinamica, che cresce con il quadrato della velocità, diminuisce l’accelerazione. In altri termini con il veicolo fermo si può esprimere la massima accelerazione limitata dallo slittamento (il secondo termine risulta nullo), mentre con il crescere della velocità parte della forza motrice del motore viene impiegata per contrastare la drag force con conseguente diminuzione dell’accelerazione.
Secondo limite: impennamento
Come nel caso precedente si consideri una motocicletta caratterizza da un moto accelerato. La fase in cui il pneumatico anteriore non tocca l’asfalto, ossia la moto inizia ad impennare, si traduce matematicamente imponendo uguale a zero il carico dinamico sulla ruota anteriore. Combinando tale equazione con quella dell’equilibrio delle forze orizzontali si ricava l’accelerazione a cui corrisponde l’impennamento. Si ottiene nuovamente una struttura matematica formata da due termini: il primo dipendente dal baricentro o meglio dal rapporto tra la sua distanza dall’asse della ruota posteriore e la sua altezza dal suolo, il secondo è il medesimo analizzato in precedenza ossia dipendente dalla drag force. Importante osservare come il fenomeno dell’impennamento non dipenda dal coefficiente d’attrito bensì dall’altezza del baricentro dal suolo. Come detto, l’altezza è presente al denominatore per cui al diminuire del suo valore cresce quello del rapporto. Questo si traduce nella possibilità che, diminuendo l’altezza del baricentro, la motocicletta possa accelerare maggiormente prima di raggiungere il limite dell’impennamento. Anche in questo secondo caso la drag force è il secondo termine dell’equazione con segno negativo, ciò vuol dire che all’aumentare della velocità diminuisce il limite per cui la ruota anteriore inizi a sollevarsi da terra. Ossia l’impennamento è agevolato al crescere della forza di resistenza e quindi della velocità.
Confronto tra i due limiti
Mettendo a confronto i due limiti, che non consentono di ottenere la massima accelerazione, si ricava che l’accelerazione al limite dello slittamento è uguale a quella al limite dell’impennamento quando il coefficiente d’attrito è pari al rapporto tra la distanza del baricentro dall’asse della ruota posteriore e l’altezza di quest’ultimo dal suolo. Questo rapporto, analogo al primo termine dell’equazione dell’accelerazione limitata dall’impennamento, rappresenta una sorta di sparti acque sul comportamento dinamico della moto in fase di accelerazione. Infatti per valori del coefficiente d’attrito inferiori a tale rapporto la condizione più stringente è dettata dallo slittamento, viceversa dall’impennamento per valori superiori. Volendo dedurne un comportamento generale si può osservare che la motocicletta non è in grado di raggiungere la massima accelerazione che il propulsore potrebbe garantire a causa di due fattori. Il primo è rappresentato dallo slittamento della ruota posteriore e si verifica per bassi valori del coefficiente d’attrito tipici di asfalto bagnato o sporco. Il secondo, l’impennamento, si verifica in concomitanza di elevati valori di aderenza ossia quando l’asfalto è asciutto e in buone condizioni.
Condensando le informazioni fin qui analizzate si può dedurre che in caso di bassa aderenza è consigliabile alzare il baricentro: il maggior trasferimento di carico sulla ruota posteriore garantisce una maggior forza motrice trasmissibile al terreno ricordando che in queste condizione il limite più stringente è rappresentato dallo slittamento. In caso di elevato grip è preferibile abbassare il baricentro: il minor trasferimento di carico inibisce il fenomeno dell’impennamento in accelerazione e del ribaltamento in avanti in frenata (clicca qui per approfondire) . Questa analisi ci permette di cogliere i vantaggi, anticipati ad inizio articolo, del dispositivo holeshot nelle diverse fasi di guida.