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Moto2, Bezzecchi: "La VR46 mi ha salvato in un momento tragico"

"La stagione non andava bene, KTM aveva appena annunciato il ritiro e mi voleva in Moto3. L'Academy ha creduto in me"

Moto2: Bezzecchi: "La VR46 mi ha salvato in un momento tragico"

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Marco Bezzecchi ha affrontato una stagione di debutto in Moto2 non esaltante. La KTM non è riuscita ad interpretare al meglio il passaggio al motore Triumph ed il telaio costruito in Austria si è rivelato immediatamente un grosso problema, così difficile da risolvere da invogliare la Casa di Mattighofen a mollare la presa sulla classe di mezzo del mondiale. Una scelta che di fatto aveva messo Bezzecchi in una situazione difficile dopo aver corso in Tech3, senza certezze sul futuro e con alle spalle una stagione di esordio in Moto2 avara di soddisfazioni soprattutto per i limiti tecnici del mezzo.

Da poco è però arrivata la firma con lo Sky Racing Team per il 2020, un passaggio che consentirà a Marco di affrontare la parte finale di stagione in modo più sereno, con la consapevolezza di avere in futuro un pacchetto tecnico in grado di proiettarlo tra i protagonisti della categoria. Abbiamo parlato con lui alla vigilia del round di Buriram, spaziando tra i vari argomenti e trovando un ragazzo con lo sguardo tranquillo di chi sa di avere tra le mani la migliore chance che potesse desiderare per il proprio futuro. 

Una stagione complicata Marco, che ti ha reso probabilmente un pilota migliore. Non hai mai mollato.

"Quando sei in difficoltà sembra tutto nero, ma il duro lavoro che abbiamo fatto dall’inizio e fino a questo momento, e che continueremo a fare fino a Valencia, ci ha portato dei frutti e continuerà a farlo. Ultimamente sono riuscito a stare un pelo più in alto in classifica, ho fatto anche qualche exploit in prova. Penso di essere cresciuto molto come pilota e nel modo di lavorare. La moto è questa ed è stata così dall’inizio della stagione, in più adesso sappiamo che non cambierà nulla fino a fine stagione perché dopo l’annuncio del ritiro KTM ha smesso di svilupparla". 

Il fatto che tu sia stato sempre più veloce significa che stai comprendendo sempre meglio la categoria o cosa?

"Secondo me il merito della crescita è stato nostro, del lavoro mio e dei ragazzi che sono qui nel box con me. Abbiamo lavorato tantissimo sulla guida più che sulla moto, e questo processo ha portato dei miglioramenti che secondo me ancora non si sono visti del tutto, ma credo si vedranno presto".

Ad un certo punto sembrava davvero nera per te. Come l'hai presa quella parentesi così negativa?

"La parte della stagione in cui si era iniziata a capire che KTM non era decisa a continuare, fino al momento in cui ho avuto la certezza di avere una sella, non è stata proprio semplice. Si parlava di un mio ritorno in Moto3 e non sarebbe stato il massimo. Quando è stato il momento di decidere la scorsa stagione, sono stati quasi più loro a volermi portare in Moto2, poi quest’anno mi hanno parlato di Moto3. Non era proprio un mio desiderio, diciamo così. Per fortuna grazie ad un grande lavoro a casa di Uccio e dei ragazzi dell’Academy, loro hanno deciso di darmi questa opportunità e questo senza dubbio mi ha reso molto più tranquillo, perché quando sei tranquillo lavori molto meglio, hai la testa libera. In moto questo è fondamentale". 

Ma adesso che è quasi finita, ti promuovi per questa stagione di esordio in Moto2 o pensi di non essere stato veloce quanto immaginavi?

"Alla fine è stato un anno sfortunato, io ed Hervé eravamo partiti molto carichi ma ci siamo resi conto subito che le aspettative erano più alte della realtà, sia dal mio che dal suo punto di vista. Io non mi aspettavo di arrivare qui e vincere, ma almeno di lottare un po’ più spesso per i punti. Hervé pensava la stessa cosa, questo è un progetto che è nato con lui, ci abbiamo ragionato assieme. Purtroppo è stata una stagione un po’ sfortunata, KTM ha fatto un progetto sbagliato all’inizio e poi ha cercato di correggersi. Ma purtroppo quando parti male, è difficile riprendere la strada quindi è andata un po’ così. Però alla fine l’impegno da parte di tutti c’è sempre stato al massimo. Noi non abbiamo mai mollato e in questo c’è stato anche un grande lavoro della Academy, perché anche nei momenti difficili non mi hanno mai lasciato da solo.Purtroppo non ci sono stati i risultati che volevamo e quando le cose non vanno benissimo il lavoro è anche più difficile. Ma va bene così, perché ho imparato tantissimo e mi servirà".

Come hai vissuto la chiamata dello Sky Racing Team?

"Per me è una cosa di cui sono orgoglioso. Sono rimasto sorpreso quando Valentino me ne ha parlato, non me l’aspettavo. Nella mia carriera sono sempre stato in altre squadre, quasi non ci avevo pensato a questa ipotesi di andare lì. Quando me l’hanno detto sono stato contentissimo, anche perché in quel momento per me le cose erano tragiche in un certo senso. Per la prima volta potrò parlare italiano nel box e non è una cosa da poco! Non ho mai parlato italiano nei box, sarà la prima volta! E poi c’è il fattore famiglia, perché sono le persone con cui lavoro anche a casa. I ragazzi del team li conosci da 5 anni, da quando in pratica esiste la squadra e anche se non ho mai corso con loro li conosco tutti benissimo. Sono davvero contento".

In un'epoca in cui bastano cinque gare per tagliare le gambe ad un pilota, tu puoi ritenerti fortunato. 

"Negli ultimi anni sembra sempre una corsa alla firma, si fa tutto troppo presto. Io ho chiuso con Hervé l’anno scorso prestissimo, ma un po’ tutti fanno così. Io sono stato fortunato che Uccio e gli altri hanno capito la situazione. Loro essendo nell’Academy per fortuna hanno visto qualcosa in me, hanno creduto in me e questo mi ha sollevato. Io ero molto preoccupato, la situazione non era al top, la KTM si ritirava, i posti sempre meno. Poi è arrivata questa offerta ed ho firmato quasi ad occhi chiusi. Era un sogno che avevo e quando me l’hanno detto non ho avuto bisogno di pensarci più di tanto".

Ma lasciando perdere i risultati negativi, ti è piaciuto lavorare con Poncharal, una delle persone più carismatiche del Paddock?

"Si e sarebbe figo tornare a lavorare con Hervé e spero che se dovesse succedere possa andare meglio per tutti e due, perché quello che è successo quest’anno non è stato né colpa mia né sua. Penso che entrambi ci saremmo meritati di più da questa esperienza. Sarebbe bello incontrarsi di nuovo in futuro, anche perché lui è stato uno dei primi a credere davvero in me. Non si è fatto avanti dopo la scorsa stagione, quando ero andato forte e tante squadre si erano mostrate interessate. Lui già da quando correvo con la Mahindra mi aveva cercato, quando nessuno mi vedeva lui già si era fatto vivo". 

Alcuni piloti lasceranno la VR46 Academy a fine stagione. Qual è il tuo punto di vista su questo?

"Sicuramente una persona che dall’esterno vede una cosa del genere, pensa che un pilota sia matto a lasciare l’Academy. Ma dipende molto da come ci stai in una situazione del genere. Io ad esempio mi sento benissimo, sento il loro supporto e so che ci sono davvero per tutto. In cambio pretendono il massimo dell’impegno, come è giusto che sia. Se loro danno cento, vogliono cento dal pilota, vogliono risultati. Lavorano per quello, è giusto che sia così. Ognuno è fatto a modo suo e magari c’è chi soffre la pressione di una situazione di questo tipo, magari c’è chi non sta benissimo nel sapere che chi lavora con te si aspetta moltissimo da te e da quello che fai. Nelle difficoltà ognuno reagisce a modo suo, c’è chi magari diventa ancora più forte, supera il momento e poi c’è chi invece quel momento non riesce a superarlo e si butta giù. Secondo me la scelta di andare via è stata fatta di comune accordo, penso che ne abbiamo parlato e semplicemente è stato detto a chi non si sentiva tanto a proprio agio che poteva tranquillamente andare via, senza nessuna costrizione ovviamente". 

Tu non hai mai sentito questo tipo di pressione?

"Io all’inizio sentivo di più questa pressione, ma è anche normale ero più piccolo. Stavo sempre lì a chiedermi se avevo fatto bene, se stavo lavorando bene. Era bellissimo stare tutti assieme, ma poi quando tornavo casa mi facevo tante domande, mi chiedevo se erano soddisfatti di me. A quanto pare lo erano, ma io non ho mai fatto la domanda diretta, magari anche per paura di avere una risposta negativa". 

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