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Honda Africa Twin: avventure in fuoristrada (ricordando la Dakar)

VIDEO Vedemmo la Ténéré di Findanno abbandonata e l'idea di fare l'eroe mi entrò subito in testa con un suono di fanfara

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L’ultima volta che sono salito su di una moto da fuoristrada è stato…boh, non me lo ricordo, ma sicuramente tanti anni fa.

Eravamo alla Dakar, io e Gigi Soldano, nella ex Mercedes 280 GE di Klaus Seppi trasformata in macchina stampa.

Credo che fossimo in Mauritania, perché ricordo che eravamo in un sabbione tipico di quei posti.

Sempre io 'impegnato' in un guado. Non ero ancora caduto, dunque sembro bello tonico

Come al solito seguivamo la carovana, impolverati, distrutti ed affamati dopo aver fatto le foto con l’unico obiettivo di arrivare, comunque nella notte, ma prima che non rimanessero nemmeno le briciole delle razioni dell’AfricaTours.

Sono traguardi minimi, lo capisco, ma per una coppia di fotoreporter impegnati nella Parigi-Dakar appaiono come risultati importanti.
Senza timore di sembrare esagerato: rappresentano la sopravvivenza.

Così, dicevo, andavamo ad una andatura discreta ma in modo da non distruggere quella che, in effetti, era una vettura da corsa 4X4 che negli anni precedenti si era classificata, se ben ricordo, quinta o settima. Dovrei andare a controllare, ma non ne ho voglia.

Finito il lavoro, quella era la parte non dico noiosa perché la Dakar non lo è mai, ma sicuramente più faticosa. Chilometri in solitudine, persino troppo stanchi per fare conversazione.

Quel pomeriggio che si andava trasformando in sera ci avrebbe riservato però una sorpresa, sotto forma di una Yamaha Ténéré appoggiata ad un arbusto. Apparentemente intatta.

La scorgemmo ai bordi della pista, ai margini del nostro campo visivo e la decisione immediata fu quella di fermarsi, e così facemmo.
Dal numero capimmo che si trattava della Yamaha ufficiale, anche qui non so se la memoria mi assiste, di Findanno. Più tardi sapemmo che era caduto, aveva riportato un trauma cranico ed era stato trasportato in elicottero al bivacco. La Parigi-Dakar per lui era finita.

Ora una moto abbandonata su una speciale è una moto persa, ma non è questo il punto. Sapevamo, io e Gigi, che in quella fase della gara, i ricambi sarebbero stati merce preziosa se riportati al campo.
La Yamaha Italia ci avrebbe fatto un monumento.

Così l’idea mi folgorò improvvisa: “Gigi, metto il casco e riportiamo la moto alla Belgarda, stasera”.

Il sottoscritto, ormai salvo, al fianco di Martino Bianchi, ottimo fuoristradista e team manager della Honda HRC alla Dakar

Ve lo confesso: l’idea era arrivata accompagnata da una musica eroica e da un film che mi vedeva entrare di notte al bivacco, giallo di fesh-fesh alla guida della Ténéré. Sarei smontato con l’agilità di John Wayne dal suo destriero sottoponendomi all’abbraccio del team manager, Daniele Papi.

Così, mentre sognavo, casco in testa e stivaletti da deserto - non stivali da motocross - ero già al fianco della Yamaha impegnato a farla partire. Un colpo, due, tre, era in moto!

Ora io non sono propriamente un watusso, ma spinto dalle fanfare che avevo in testa saltai in sella e via, verso la gloria!
O così pensavo.

Come ho detto poc’anzi eravamo in un sabbione, il che implica la guida in piedi, ma cosa volete che sia per l’Eroe?
Accompagnato dal bombardante rumore del monocilindrico andavo. Mi sembravo Franco Picco!

Uno, due chilometri, cinque, dieci. Non ricordo quanti ne feci, se arrivai a 30 o fossero di meno. Ciò che ricordo invece benissimo è che la stanchezza arrivò prestissimo. Per galleggiare nel sabbione bisognava andare, ma con le gambe in cancrena non riuscivo a mantenere la posizione eretta, ed ogni volta che mi sedevo, provavo a farla, la Ténéré si imbertava affondando con l’avantreno rischiando di farmi cadere.
Ero cotto, ma rifiutavo di ammetterlo.

Mi salvò Gigi, il solito fratello, affiancandomi con la Mercedes.

“Scendi, smonta, sennò invece dei ricambi riporto la salma!”, mi disse senza alcuna delicatezza, ferendomi profondamente nell’amor proprio.
Ma aveva ragione.

Mi fermai. Felice e profondamente triste nello stesso tempo.

La musica eroica dell’arrivo in notturna nel bivacco svaniva dalla mia testa, ma ero vivo.
Il resto è vietato ai minori. Trattasi di cannibalismo.

Smontammo la Ténéré, asportando sospensioni e cerchi. I ricambi più utili nella maratona africana, e con una certa tristezza rimontai in macchina.

Arrivammo al bivacco di notte.

Come al solito in ritardo. Non c’era più quasi nulla da mangiare.

Consegnati i ricambi cannibalizzati alla Yamaha eravamo entrambi troppo stanchi anche per raccontare l’avventura. E comunque avrei omesso, vergognandomi della mia insipienza fuoristradistica, del tentativo di gesto eroico.

Il finale fu esattamente quello dei giorni precedenti: un paio d’ore di sonno e poi di nuovo sulla pista, il road book in mano, per cercare di arrivare in un bel posto dove scattare le foto dei primi della carovana.

In quella mattina del giorno seguente, vedendo arrivare Picco dall’orizzonte a manetta con la sua lunga coda di polvere, lo ammirai un po’ più del solito.

Questa pippa la ho scritta perché la Honda, nella persona di Costantino Paolacci, mi ha mandato il video della nostra recente avventura in fuoristrada magistralmente descritta da Matteo Aglio.

E vi voglio rivelare una cosa: con gli anni non sono migliorato in fuoristrada. Ma poiché questa volta non c’era Gigi Soldano a seguirmi, l’Africa Twin me la sono data su un femore, vinto dalla stanchezza.

Ma ora ho la scusa dell’età.

E comunque il livido sulla coscia mi ha fatto sentire più giovane.

Viva, sempre viva, la moto in tutte le sue forme!

 

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