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Ducati 916: 25 anni fa il capolavoro di Tamburini

Era il 1993 quando Claudio Castiglioni svelò una delle moto simbolo del motociclismo italiano. Oggi la V4 prova a ripercorrere quella strada

Moto - News: Ducati 916: 25 anni fa il capolavoro di Tamburini

Un quarto di secolo fa, ma sembra ieri. Il 1993 rappresenta per le Ducati, da corsa e di serie, un anno di svolta. Dopo i fasti degli anni '50 e '60 di Gilera, Guzzi e MV Agusta fino a metà anni '70, il mondo della moto tricolore segnò il passo sotto il fuoco incrociato delle corazzate giapponesi che, a suon di tecnologia e prestazioni, confinarono in un angolo i mezzi di casa nostra, soprattutto le sportive, su strada ed in pista. Guidare moto di media e grossa cilindrata, nel periodo tra la metà degli anni '70 e la fine degli anni '80 significava soprattutto "Made in Japan".

Honda, Yamaha, Kawasaki e Suzuki conquistarono il cuore degli appassionati e non solo. Nei campionati riservati alle derivate di serie, correre voleva dire farlo in sella ad una 4 cilindri nipponica.

Poi arrivò Ducati che, sotto la spinta della passione dei fratelli Castiglioni iniziò, piano piano, a rosicchiare fette di gradimento sempre maggiori. I due industriali, già noti per la favola della Cagiva in 500, spinsero sull'acceleratore, stavolta dei 4 tempi, per portare in alto un marchio che, dopo anni di appannamento, sotto le loro abili cure, iniziava a farsi largo con modelli dal design innovativo e, andando controcorrente alle mode imperanti, puntando sul motore bicilindrico. Videro la luce moto come la Paso e la 851, realizzazioni originali, estremamente caratterizzanti sotto il profilo del design. La matita di un "genio della carrozzeria" come Massimo Tamburini, ex Bimota, liberava tutta la sua creatività, introducendo concetti stilistici ancora oggi ammirati ed apprezzati in tutto il mondo.

Anche nelle corse la scalata era di quelle memorabili: nell'allora nascente campionato SBK (parliamo del 1988), la 851 (poi 888) lottava ad armi pari con le Honda e Yamaha 4 cilindri. Nel 1990 arrivò il primo alloro mondiale con il francese Raymond Roche e lì si capì che, probabilmente, la strada imboccata era quella giusta.

SVOLTA EPOCALE - "Per qualche tempo le case giapponesi hanno trascurato la SBK, ma quando si sono accorte del grande successo della Ducati sono tornate a lavorare sulle loro moto. Quindi per poter fronteggiare l'escalation di prestazioni delle 4 cilindri, noi abbiamo aumentato la cilindrata progressivamente. Siamo partiti dalla 851 per passare alla 888 e quindi alla 916" parlava così l'ingegner Massimo Bordi, colui che al periodo era alla guida tecnica del CRC (Centro Ricerche Cagiva) il reparto che studiava i modelli in divenire non solo di Cagiva ma anche, ovviamente, di Ducati, allora parte del Gruppo Castiglioni.

EICMA -  Nel 1993, al Salone di Milano vennero tolti i veli alla 916, una moto "pesante", che aveva il compito di soppiantare la popolarità della 888. La nuova moto disegnata da Tamburini dava un taglio stilistico completamente diverso, ed anche a livello tecnico, pur confermando i capisaldi del telaio a traliccio ed il motore Desmo ad "L", segnò un deciso balzo in avanti sotto ogni punto di vista: non solo era più potente, ma anche più filante, raccolta e leggera. Dotata di un'estetica accattivante e di una grazia senza tempo, la 916 aveva prestazioni eguagliate solo da una pari maneggevolezza e montava un motore di cui si è parlato per lungo tempo.

Se negli anni precedenti le priorità erano riservate alla sostanza del progetto, con la novità 916 le peculiarità tecniche vanno a fondersi con quelle estetiche. A linee da race replica la moto univa bellezza da togliere il fiato.

Il telaio mantenne, come detto, una struttura a traliccio e, per la massima rigidità torsionale e flessionale, aveva tre punti di ancoraggio al motore che, come in passato, aveva funzione di elemento stressato. Per la prima volta venne introdotto il dispositivo di regolazione della inclinazione del cannotto, grazie al quale si poteva variare l'angolo tra 24 e 25 gradi (ed avancorsa che passa da 94 a 100 mm).

Nuovo, soprattutto per la tradizione Ducati, il forcellone monobraccio realizzato in lega di alluminio con ruota a sbalzo a tre razze. Per la prima volta fu utilizzato anche l'ammortizzatore di sterzo che, per la sua esclusiva posizione dietro alla piastra di sterzo, venne - al pari del sistema al cannotto e del monobraccio - coperto da brevetto.

Sul fronte del motore, ad un incremento di cilindrata rispetto alla 888, corrispondeva un sensibile aumento della potenza massima: sono 109 cavalli a 9.000 giri le prestazioni dichiarate per il Desmo 4 valvole. Per ottenere ciò lo stesso ingegner Bordi era intervenuto in varie direzioni. Dall'aumento di cilindrata, ottenuto allungando di 2 mm la corsa, al sistema di aspirazione e scarico per avere più allungo. L'impianto di scarico venne completamente riprogettato, con i collettori che sfociavano ai due silenziatori parzialmente coperti dal codone.

Come fu per le 851/888 anche la 916 continua la serie delle versioni Monoposto, Biposto ed SP (arrivò anche una versione limitata: la 916 Senna, dedicata al campione di F1). La 916 SP ha peculiarità tecniche che la differenziano dalle sorelle. Da parti in carbonio per la carrozzeria, all'impianto di iniezione con due iniettori per cilindro e valvole maggiorate per le teste. Le modifiche apportate si concretizzano con un sensibile incremento della potenza massima che da 109 CV passa a 126 a 10.500 giri con una velocità massima dichiarata superiore 270 km/h. 

ESORDIO IN SBK - 
Nel mondiale Superbike del 1994 con una versione maggiorata nella cilindrata (955 cc) per poter reggere il confronto in pista con le quattro cilindri da 750 cc,con Carl Fogarty vinse il campionato, ripetendosi poi nel 1995 ed in seguito nel 1996 con cilindrata portata a 996cc.

Arriva LA 996/998 - Nel 1998 la 996 su strada sostituì la 916 e questa moto segnerà anche lei la storia Ducati aggiudicandosi la vittoria in parecchie competizioni e vincendo ben tre Campionati Mondiali Superbike grazie anche a piloti del calibro di Troy Bayliss. La linea era la stessa della 916, il motore maggiorato restava il Desmoquattro bialbero, e confermati anche telaio a traliccio a tubi tondi e forcellone monobraccio.

Oggi Ducati significa Panigale V4, un'altra svolta epocale per la Casa bolognese, con il nuovo 4 cilindri a V Desmosedici Stradale. Il compito è quello (salvo scatto di orgoglio del bicilindrico) di riportare Ducati ad essere trionfatrice nel mondiale SBK. A lei il pesante compito di far parlare, magari tra 25 anni, di un altro prodigio del Made in Italy e della storia del motociclismo italiano.

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