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Le 5 moto che fanno (o hanno fatto) drizzare i capelli, nel bene e nel male

La nostra personale bike list che, per preferenze degli appassionati o quantità di parole spese per descriverle hanno lasciato un segno

Moto - News: Le 5 moto che fanno (o hanno fatto) drizzare i capelli, nel bene e nel male

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Un lungo brivido. Una forte emozione, il cuore che batte, o anche quel senso di sano, legittimo, ma categorico rifiuto a salirci in sella. Una moto è soprattutto passione, quindi, come ogni passione che si rispetti, spesso non ammette mezze misure: o la si ma o la si odia. Non esiste nel campo moto il concetto “potrebbe piacermi con il tempo”. No, è come una bella donna, che fa battere subito il cuore, o una dal carattere fine, colto ed elegante, ma magari meno appariscente, ma che ci sa conquistare per modi ben calibrati. Poi ci sono le donne che proprio non ci fanno battere il cuore, nemmeno dopo dieci appuntamenti e fiumi di birra trincati come il mozzo di un vascello pirata, con l'unico scopo di “aggiustare” il tiro dei nostri sensi. Mettiamola così. Ecco quindi secondo noi le 5 moto che nel bene o nel male hanno comunque lasciato un segno nel nostro cuore di motociclisti, per estetica o per prestazioni.


Ducati 916/998: leggenda su due ruote


Indubbiamente Il capolavoro (articolo in maiuscolo) quando si parla di fascino su due ruote. L'opera del genio di Massimo Tamburini è ad oggi un vero oggetto di culto per tanti appassionati, non solo di due ruote, ma anche di design. Piccola, filante e snella, la 916 al suo debutto non brillava in fatto di cavalleria rispetto alla 4 cilindri giapponesi del periodo, ma le sue doti - per le quali viene spesso usata come metro di paragone - non si basavano su questo. Ma su un sound unico, una guida efficacissima in pista e, come detto, linee immortali. Una moto, poi cresciuta fino alla 996/998, che ha consegnato alla storia il design Ducati e consacrato al grande pubblico Massimo Tamburini come artista a tutto campo.


Kawasaki H2R: difficile fare meglio


Linee che esaltano il concetto aerodinamico di deportanza, prestazioni da brivido. La H2R è attualmente il riferimento in fatto di cavalleria: grazie al suo compressore centrifugo la “bomba” di Akashi è in grado di spingersi fino a a quota 310 CV con punte velocistiche paurose. Basti pensare che Kenan Sofuoglu, pluricampione turco della SS, lo scorso anno ha infranto il muro dei 400 Km/h nel tentativo di record (riuscito) sull'Izmit Bay Bridge, viadotto turco sospeso sul Mar di Marmara.


Yamaha V-MAX: muscoli d'acciaio e design innovativo


E' di poco tempo fa la notizia che Yamaha ha deciso di porre fine alla gloriosa carriera della V-MAX. Questa muscolosa roadster V4 si è imposta al grande pubblico come vera brucia semafori oltre che linee estetiche decisamente innovative. Il cuore della V-MAX alla sua uscita sui mercati nel 1984 era un motore di 1198 cm³ da 145 CV. Strabiliava per le doti in fatto di accellerazione con la capacità di percorrere i 400 metri da fermo in 11 secondi, conditi da gloriosi burn-out. L'ultima versione, uscita nel 2008, spingeva la cubatura fino ai 1700cc con potenza però cresciuta solo di 2 cavalli per via delle norme sempre più severe in fatto di emissioni. Ad inizio 2017 poi arriva l'annuncio dello stop dal Giappone.


Yamaha R1 prima serie: bella e difficile


Durante i saloni autunnali del 1997, Yamaha presentò al mondo la sua YZF-R1. La creazione dell'ingegner Miwa era quanto di più aggressivo il mercato avesse mai visto fino a quel momento: compattissima, con carenatura dalle linee tese ed aggressive. Un salto in avanti deciso rispetto alle concorrenti. I 177 Kg di peso a secco ed 150 CV del motore abbinati ad una ciclistica dal passo di 1395 mm ben presto divennero il metro di paragone di tutte le moto sportive degli anni a venire.
Le voci su questa moto: difficile da controllare, pronta a impennare e scodare ad ogni manata di gas ne fecero un oggetto di desiderio per molti. Per molti, ma non per tutti.


Suzuki B-KING: si poteva fare di più


Non ce ne vogliano ad Hamamatsu, ma quando uscì sul mercato la Suzuki B-King fece subito discutere per un design forse eccessivamente "Manga Style". Motore notevole in fatto di cavalleria, con l'unità presa pari pari dalla Hayabusa, capace di prestazioni alla sua uscita di 197,2 CV dichiarati, poi scesi a 184 CV, con una coppia da TIR (146 Nm) a 7.200 giri/min. Peccava secondo noi in fatto di design, con estetica un po' borderline per via soprattutto di una sezione centrale esagerata che contrastava con il piccolo mascherino portafaro; linee spinte anche per il doppio scarico posteriore a "trombone". L'idea in Suzuki era quella di una moto che mostrasse i muscoli, ma poteva essere sfruttata meglio in fatto di appeal.

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