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Vd Mark: anima SBK, cuore MotoGP

Il rookie di Honda: "Qui ho trovato una seconda casa. Ho deciso di fare il pilota salendo sulla M1 di Rossi"

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A 22 anni, Michael Vd Mark è pronto a fare il suo esordio ufficiale nel campionato Superbike. Dietro alla faccia da ragazzo della porta accanto si nasconde un animale da competizione. Il giovane olandese ha seguito il cursus honorum tra le derivate di serie, vincendo prima il campionato europeo Stock600 e poi il mondiale Supersport, sempre con i colori Honda. La Casa di Tokyo gli ha ora offerto un contratto biennale in classe regina, e domani farà il suo debutto in gara. Nel frattempo, ha chiuso la sua prima Superpole con un sorprendente quarto tempo.

“Appena sono uscito con la gomma da qualifica hanno dato bandiera, avrei tanto voluto finire il giro ma comunque il quarto tempo non è così male – ha detto – Certo, vorrei aver ottenuto il risultato in modo diverso, ma credo di essere pronto per domani”.

Ti aspettavi un risultato simile?

“I test erano andati abbastanza bene. Volevo fare di più, ma ci siamo bloccati ad un certo punto. I tempi sul giro erano decenti, ed anche la posizione finale (nono). Comunque ero ottimista prima del fine settimana. Avevamo capito molto guardando i dati”.

C’è un’area in particolare dove senti di dover migliorare?

“Io devo migliorare giro dopo giro, mentre sulla moto possiamo fare di meglio soprattutto dal punto di vista delle sospensioni. Abbiamo provato cambiamenti radicali, anche per farmi un’idea di come risponde la moto e le sensazioni che mi dà”.

Sei tra i piloti più alti in SBK. Pensi che la 1000 sia più adatta al tuo stile di guida?

“Non proprio, anche in Supersport mi trovavo bene, ed in SBK non devo cambiarlo troppo. Sono alto, è vero, ma anche la 1000 non è poi così grande. Mi diverto molto a guidarla comunque, e nel tempo sono sicuro che continuerò ad evolvere il mio stile”.

Da dove nasce la tua passione? Vieni da una famiglia di piloti?

“Mio padre era un pilota, ha vinto la 24 ore di Le Mans nel 1984, ma quando sono nato io aveva già smesso di correre da un paio d’anni. Ho sempre guardato le gare, e da quando avevo 10 anni sono sempre andato a vedere il GP di Assen. A 11 anni, sempre ad Assen, mi sono seduto sulla Yamaha di Rossi e ho detto a mio padre: ‘voglio correre’. Lui non mi ha spinto a farlo, voleva che fossi io a decidere”.

Come mai hai scelto il campionato SBK?

“Ho corso in 125 tra Spagna, Germania e Olanda. Il mio sogno era quello di correre nel mondiale 125 e ho avuto una chance. La moto (Lambretta) non era certo la più veloce, ma mi sono comunque divertito e ho imparato tanto. Però poi sono finiti i soldi, e ho dovuto fermarmi”.

E da lì…

“Ho dovuto cambiare, provare qualcos’altro. Ho cominciato a correre nella 600 e ho trovato una seconda casa, anche se all’inizio non mi ha entusiasmato. Ma poi ho trovato il mio ritmo e ho cominciato a divertirmi. Anche vincere gare aiuta in questo senso. Ho dovuto semplicemente cambiare i miei obiettivi”.

Hai degli obiettivi specifici per quest’anno?

“No, bisogna aspettare almeno 2/3 gare per vedere a che punto siamo e capire come impostare la stagione. Honda mi ha offerto un contratto biennale, e mi ha detto di non mettermi pressione, imparare passo dopo passo”.

Qual è la tua pista preferita?

“Adoro Phillip Island, è una delle piste più belle al mondo, è speciale”.

Avere un campione nel mondo nei box, per quanto i vostri stili siano diametralmente opposti, ti aiuta?

“Mi toglie pressione perché ne ha più lui (ride). Scherzi a parte, è positivo avere Sylvain nell’altro lato del box. Ha molta esperienza in SBK, anche con moto diverse. È una persona affabile, andiamo d’accordo, lavoriamo insieme ed è positivo per tutta la squadra”.

Ci sono altri piloti che hanno uno stile simile al tuo, dai quali pensi di poter carpire qualche segreto?

“È difficile perché tutti i piloti in SBK hanno uno stile peculiare. Forse Jonathan Rea. Se guardi a Sykes, Giugliano, anche Guintoli…dall’esterno sembra facile quello che fanno, ma se guardi alla telemetria è tutta un’altra cosa. Penso si possa imparare qualcosa da tutti”.

Perché corri con il numero 60?

“Nel 2010 ho corso nel motomondiale con Lambretta e mi hanno dato il 60. Prima correvo con il 69, ma era già occupato. Da allora ho sempre tenuto quel numero”.

Hai un idolo in particolare?

“Valentino Rossi”.

Sei stato al ranch, vero?

“Sì, subito dopo la presentazione della squadra (prima dei test di Jerez a fine gennaio, nda). Una bella esperienza, anche se difficile. Mi sembrava di vivere un sogno”.

Ti immagini in MotoGP in futuro?

“Molti giovani sognano di andare in MotoGP, e io non sono da meno. Ma il mio obiettivo principale è vincere un altro mondiale il prima possibile, non importa dove”.

In passato hai avuto offerte dalla Moto2…Perché non hai fatto il salto?

“Honda mi aveva offerto un biennale e solide garanzie tecniche, la Moto2 sarebbe stata una scommessa azzardata. Devi avere fortuna, e spesso portare anche dei soldi”.

Come mai la scuola olandese stenta a sfornare talenti?

“Le moto sono popolari, ma i piloti più giovani sbagliano mentalità. Non sono abbastanza determinati e si credono subito dei fenomeni. Ora però la federazione sta investendo di più, c’è qualche buon prospetto nella Rookies Cup. Ai miei tempi, l’unico mio coach è stato mio padre”.

Parla chiaro Michael Vd Mark, giovane speranza delle derivate di serie. Il polso e la testa sembrano quelli giusti, ma ora il gioco si fa davvero duro. A giudicare dal suo linguaggio del corpo, il ragazzo non vede l’ora di gettarsi nella mischia.

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