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SBK, Superbike a Mosca, i perché del no

Mancano le garanzie, ma un contratto a lungo termine tiene aperta la candidatura

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Per il secondo anno consecutivo, il round di Mosca della Superbike è stato cancellato dal calendario. La notizia, che circolava nel paddock già dalla fine dello scorso anno, non sorprende gli addetti ai lavori. Mancano le coperture finanziarie, ma un contratto a lungo termine siglato sotto la precedente gestione costringe Dorna a tenere aperta la candidatura fino alla scadenza entro la quale vanno presentate le garanzie. Detto questo, resta qualche preoccupazione.

Innanzitutto, il “vuoto” creato dalla cancellazione è difficile da riempire in corso d'opera e lascia un buco pesante. Calendario alla mano, tra il GP di Portimão e quello di Laguna Seca (intervallo nel quale compariva la data russa) passerà un mese. Lo stesso lasso di tempo intercorre tra il round di apertura a Phillip Island e la seconda gara, fissata nel nuovo circuito tailandese di Chang. Senza contare il vuoto tra Sepang (2 agosto) e Jerez (20 settembre). Per fare un confronto, la MotoGP prenderà un “time-out” altrettanto lungo solo tra il GP del Sachsenring (12 luglio) e quello di Indianapolis (9 agosto), periodo che coincide da anni con la consueta pausa estiva. Inutile sottolineare come queste lunghe interruzioni non giovino alla popolarità del campionato, che rischia di scomparire dai radar mediatici in diverse occasioni, anche a stagione in corso. Servirebbe, in altre parole, un rimpiazzo.

Ma dove? Le motivazioni dietro l’ennesima cancellazione sono comprensibili, ed il dilemma è evidente: i cambi di programma sono più frequenti in paesi dove le due ruote non hanno affondato le proprie radici in passato, e generalmente al di fuori dell’Europa, ma allo stesso bisogna puntare (con tutti i rischi del caso) su mercati in crescita. Tuttavia, è la frequenza di queste cancellazioni (vedi il sudafrica lo scorso anno) che lascia un gusto amaro. Non che la MotoGP sia esente da episodi di questo genere, ma a sua parziale discolpa andrebbe citato il fatto che il calendario esce d’estate, non a novembre inoltrato.

Anche per questo motivo, i problemi inerenti a quello della Superbike sono evidenti: la mancanza di accorpamenti tra le gare overseas – a differenza del classico “trittico” del motomondiale – rappresenta un onere aggiunto per le squadre, che non riescono a sfruttare economie di scala, per fare un esempio, nei costi di viaggio del personale. Un aspetto tutt’altro che marginale, dal momento che i costi logistici rappresentano circa un terzo dei budget delle squadre.

Inoltre, le gare della Superbike si sovrappongono a quelle della MotoGP in tre occasioni (Aragon-Texas, Assen-Argentina, e Qatar-Australia) ed in ben sette per quanto riguarda la Formula 1. A questo proposito, la trasmissione in chiaro degli eventi aiuta la causa in Italia, ma si tratta di un’eccezione piuttosto che una regola. All’estero, le derivate di serie dovranno ingaggiare una lotta sotto molti aspetti impari per l’audience.

Un peccato, perché il passaggio a Dorna ha anche avuto dei riscontri positivi, come una griglia in crescita quantitativamente (sulla qualità bisognerebbe aprire un capitolo a parte, e lo faremo in separata sede), e l’arrivo di diversi partner commerciali. La Superbike però non è la MotoGP, né mai lo sarà. Il che non è un male di per sé, anzi. In passato, sono state proprio le peculiarità di questo campionato a far crescere uno zoccolo duro di appassionati e trascinare i modelli delle varie Case sul mercato. È però essenziale sfruttare ogni opportunità per dare visibilità alla Superbike, a partire da un calendario più serrato ed efficace dal punto di vista dei costi.

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