Addio Andrea De Cesaris, pilota 'Oltre'

L'ex di F.1 se ne è andato a cavallo di una moto. Max Biaggi, suo amico, lo aveva ricordato nella sua autobiografia

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Andrea De Cesaris, ex pilota di F.1 ha perso oggi la vita sul Grande Raccordo Anulare mentre era alla guida della sua moto. Cinquantacinque anni, romano, aveva gareggiato fino al 1994 per poi dedicarsi alle sue altre grandi passioni, il surf e la moto, che usava quotidianamente.

Lo vogliamo ricordare con questo breve racconto tratto dalla autobiografia di Max Biaggi, OL3 OLTRE, nelle pieghe della mia vita.

(...) mentre sto rientrando a casa per prepararmi a uscire in bici, incontro Andrea De Cesaris. Andrea si è ritirato dalla Formula 1 nel 1994 ma è ancora un super sportivo, grande appassionato di windsurf. Oggi è vestito elegante, giacca e camicia, perché lo aspettano a una trasmissione televisiva. L’appuntamento però è più tardi.

"Quasi quasi vengo con te. Ho tempo, hai un’altra bici e qualcosa da prestarmi?" mi chiede.

Saliamo da me, gli allungo un paio di pantaloncini, una maglietta e scendiamo in garage. È in forma, ma meno abituato di me ad andare in bicicletta. In compenso è supercompetitivo e non molla un metro. Ci facciamo un bel giro, sempre a manetta. Dopo un’ora siamo di nuovo sull’asfalto, ma in ritardo, così il ritorno si trasforma in una picchiata nei tornanti che riportano in città. Andrea va giù dritto sparato, la velocità non gli fa paura, ma siamo su due ruote, il mio terreno. Sulle strade del Principato lui ha corso con McLaren, Alfa Romeo, Ligier, Brabham, Jordan, Tyrrell, Sauber e aggredisce i tornanti come se in palio ci fosse un podio. Scendiamo a tutta birra, zero prudenza, e all’ultima curva arriviamo tutti e due troppo forte. Fossimo furbi tireremmo dritto, tanto c’è spazio. Ma non siamo furbi. Io lo finto all’interno come avrei fatto fossi stato a cavallo della mia Honda. Non sarei mai riuscito a passare perché in bici non si può mica piegare come in moto, ma lui non ci sta, molla i freni, guadagna un metro e tenta un’entrata impossibile. Il risultato, inevitabile, è una strisciata a pelle di leone sull’asfalto. Siamo tutti e due all’esterno della carreggiata. Per fortuna non arriva nessuno dalla parte opposta. Ci viene a entrambi da ridere, più a me che a lui. Anche perché è conciato da far paura, pieno di graffi e sporco di bitume.

"Smettila di prendere per il culo e andiamo che sennò faccio tardi" dice un po’ contrariato mentre continua a togliersi il brecciolino dalle abrasioni.

Dieci minuti dopo siamo a casa.

"Mi faccio una doccia e scappo".

Quando esce dalla doccia l’acqua calda lo ha ripulito, ma ora tutte le abrasioni sulle braccia e sul petto sanguinano.

È roba da niente, ma qualunque cosa ci metta sopra si macchierà. Mentre lo penso lui lo dice.

"E ora come faccio a mettermi la camicia?" Ha la voce preoccupata, ma solo per un attimo.

"Max, hai del domopack in casa?"

"Certo, a che ti serve?"

Gli porgo un rotolo, lui me lo restituisce.

"Adesso mi impacchetti per bene, qui sopra le braccia, tanto la camicia ha le maniche lunghe…"

Eseguo. C’è ancora il problema dei graffi sul petto. Glieli  indico.

Alza le braccia sopra la testa in modo significativo. Gli appoggio il rotolo di domopack sulla schiena, tengo fermo il lembo e Andrea gira su se stesso come un ballerino del Bolscioi.

Facciamo due giri, perché non si stacchi. Così, in mutande e fasciato nella pellicola trasparente è ridicolo, ma il fine giustifica i mezzi. Poi, con noncuranza, Andrea si infila la camicia e i pantaloni.

"Ciao Max, ti devo salutare, ci vediamo. È stato un bel giro. Scappo che vado di fretta".

Lo guardo prendere la via della porta, poi mi affaccio al balcone e lo vedo uscire dal portone. Cammina solo un po’ rigido, ma magari è semplicemente perché è poco abituato ad andare in bicicletta.


MAX BIAGGI con Paolo Scalera

OL3-OLTRE Nelle pieghe della mia vita

Ed. Rizzoli

 

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