C’è qualcosa che rimane nel cuore e nella testa, un tarlo che scava giorno dopo giorno. Anche dopo che si è detto basta, quella porta che si è chiusa dietro alle spalle spesso spinge per riaprirsi. Dopo una vita che scorre veloce al ritmo dell’adrenalina e le emozioni che si rincorrono senza tregua, è difficile tornare a giorni che sembrano tutti uguali. Prima è solo un’idea passeggera, di quelle che balenano dietro agli occhi prima di addormentarsi, poi prende forma e peso. Una piccola ossessione a cui è facile arrendersi. Più si è in alto, più la caduta è dolorosa.
Max Biaggi è solo l’ultimo degli esempi dei campioni dello sport che tornano sui propri passi. A non riuscire a resistere al fascino di un'altra impresa. L’anno scorso era stato un test sulla Ducati-Pramac, sempre al Mugello, la prossima settima sarà un altro sull’Aprilia e fra un mese, chissà, ci sarà di nuovo il semaforo rosso e il cuore a mille, fino alla bandiera a scacchi. L’unica cura a una crisi di astinenza che ti tormenta finché non cedi.
Il corsaro non è il primo e non sarà l’ultimo a sentire di nuovo il richiamo della competizione. Mike Hailwood aspettò dieci anni prima di rimettersi il casco. Scelse il Tourist Trophy e nel 1978 vinse il TT F1 sulla Ducati, si ripeté l’anno successivo nel Senior TT con la Suzuki. The Bike aveva 39 anni. Non tutte le storie però hanno il lieto fine come questa, basti pensare a Kenny Roberts. L’ex Marziano, nel 1987 risalì sulla Yamaha 500 per il GP delle Nazioni, a Monza. Si era ritirato quattro anni prima da vicecampione del mondo, si classificò 17° e non prese parte alla gara.
Nelle quattro ruote, fece notizia il ritorno di Michael Schumacher. Dopo l’addio alla Ferrati e alla Formula 1 nel 2006, corse dal 2010 al 2012 con la Mercedes. Un solo podio in 58 gare per il tedesco. Era andata meglio a Niki Lauda che dopo uno stop di due anni tornò nel Circus con la McLaren nel 1982. Nel 1984 conquistò il suo terzo titolo mondiale. Ebbe ragione a risalire in sella anche Lance Armstrong nel 2009 quando finì quarto al Tour de France dopo tre anni di inattività. Ci riprovò anche l’anno successivo, ma fu 23°
Michael Jordan, dopo la (fallimentare) parentesi baseball tornò coi Bulls e vinse altri 3 titoli. Poi si ritirò nuovamente e dopo un paio di anni di stop ritornò (a 40 anni suonati) con gli Widzards dove fece ancora la differenza… (una media di 20 punti a partita nella sua ultima stagione (2002-2003).
Ci fu anche qualche flop. Ian Thorpe ritornato in vasca per le Olimpiadi di Londra fallì le qualificazioni, Bjorn Borg appannò il suo mito tornando in campo negli anni ’90.
C’è una lezione in tutto questo, che il tempo non perdona. Quando un pilota perde l’abitudine alla velocità, ritrovarla può essere la prova più difficile. Un campione sa cosa comporta rischiare ma, nel suo caso, un fallimento può essere ancora più pesante. Max Biaggi dovrà fare bene i conti, dalla gloria di Hailwood alla sconfitta di Roberts il confine è labile. Fin qui la razionalità, che spesso ha ben poco potere in queste scelte. Uno sportivo ha una sola regola, in fondo, divertire e divertirsi. Che corrispondere a vincere, o almeno andarci vicino. Speriamo che Max riesca ancora a farcela.
Nota: Grazie a Matteo Tempini, Matteo Angiolillo e Matteo Terzago per le informazioni su Michael Jordan