Gobmeier: penalizzati dalla Bridgestone

"Spenderemo milioni per ovviare ad un problema risolvibile da loro in due settimane"

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Il segreto del successo, in termini di spettacolo, della Superbike e, ora, della F.1, sono le gomme. Pneumatici che, guarda la coincidenza, in entrambi i casi sono Pirelli.

La politica della casa italiana, per quanto riguarda le coperture ed i vantaggi che possono dare ad una casa piuttosto che ad un'altra è chiara: c'è sviluppo, le Case contribuiscono, ma poi all'inizio della stagione viene scartata la soluzione migliore (per alcuni) e peggiore, in modo da mettere tutti il più possibile nelle medesime condizioni.

In F.1 ci si è spinti addirittura più in là: seguendo le indicazioni di un 'illuminato' quale è Bernie Ecclestone, le gomme sono progettate e costruite per non durare, in modo che i continui pit-stop contribuiscano a livellare, eventualmente, le prestazioni in pista. Una strategia che è sembrata funzionare fin dalla scorsa stagione.

In MotoGP, al contrario, non esiste nulla di simile. Lo sviluppo - notevole c'è da dire - fatto dalla Bridgestone ha portato prima alla creazione di coperture estremamente critiche, in grado di dare prestazioni di altissimo livello dal primo all'ultimo giro, ma al costo di un range di utilizzo estremamente ristretto in termini di temperature di esercizio. Una scelta così duramente criticata dai piloti da costringere gli ingegneri giapponesi da riposizionare le prestazioni degli pneumatici per allargare la forbice di utilizzo, causa di molte cadute per l'improvviso raffreddamento delle gomme.

Qualcosa, grazie anche all'intervento di Loris Capirossi è stato fatto, ma la Bridgestone sembra non aver ancora compreso quale è il suo ruolo all'interno del campionato. Non certo quello di dimostrare di sapere fare pneumatici performanti che stanno permettendo pieghe oltre i 60° e rendendo inutili le spider sulle ginocchia a favore di quelle sui gomiti. Bensì gomme in grado di essere ininfluenti sulle prestazioni di moto concettualmente diverse fra di loro.

E' ancora fresco il ricordo del mondiale dell'anno passato, quando la Honda si lamentò apertamente dell'introduzioni di una nuova copertura, a campionato iniziato, che la svantaggiata. Quest'anno è la volta della Ducati di parlare.

"Le informazioni che ho ottenuto da Bridgestone è che non cambierà nulla - ha confessato Gobmeier a Cycleworld -  Ciò significa che dovremo adattare la moto a questa specifica configurazione degli pneumatici, cosa che è molto difficile. Normalmente i problemi che abbiamo potrebbe essere risolti dalla Bridgestone entro due settimane, con facilità, senza alcun problema. Ma loro non cambieranno nulla. Stiamo spendendo cento volte i soldi, mille volte il denaro, al fine di risolvere quello che potevano risolvere a costo zero in due settimane".

Un atto di accusa preciso da parte di una casa che ben conosce le potenzialità della Bridgestone, avendo vinto per loro il primo mondiale nel 2007, con Casey Stoner.

Se ben ricordate ciò causò l'ira di Valentino Rossi e della Yamaha che arrivò all'assurdo di far correre un pilota, Rossi, con le Bridgestone e l'altro, Lorenzo, con le Michelin. Una bestemmia nel mondo delle corse. Tollerata per motivi che oggi sono drammaticamente chiari.

Ciò che non è chiaro, invece, è perché una casa di pneumatici deve influenzare lo sviluppo di un progetto di una grande casa al punto da farla…tornare al passato. Se, infatti, la Ducati e Filippo Preziosi inizialmente progettarono la Desmosedici così com'era, è proprio perché sapevano di poter collaborare con la Bridgestone. la Rossa, infatti, ha una gran trazione, guarda caso proprio ciò che serve per mettere la potenza a terra.

Peccato che oggi le gomme non lo permettano, e poiché la Ducati gira avvalendosi del gran grip sul posteriore, non c'è da stupirsi che sottosterzi non appena questo diminuisce.

Qui non si tratta di favore una Casa piuttosto che un'altra, bensì semplicemente di mettere tutti i costruttori sullo stesso piano senza spingerli a scelte obbligate. Certo, se poi vogliamo pensare male, cioè in termini di mercato, Ducati, Yamaha e Honda, non sono semplicemente paragonabili quando si parla di un possibile indotto per le coperture di primo equipaggiamento.

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