Franco Uncini, piegavamo 'alla marinara'

Le prime pieghe a 45°, le ginocchia e...i piedi consumati. L'ex iridato della 500 racconta

Iscriviti al nostro canale YouTube

Il primo ricordo che abbiamo di lui è di un ragazzo esile con una tuta azzurra appoggiato ad una rete di recinzione del circuito di Vallelunga.

Uno dei nuovi piloti della 125? niente affatto, il peso piuma in questione era Franco Uncini che debuttò nel 1974 alla guida di una Laverda 750 SFC, una moto pesante anche per l'epoca. E difficile da guidare.

In una categoria ricca di talenti il ragazzo di Recanati - è nato lì il 9 marzo del 1955 - si mise subito in luce. Vincitore della Coppa Campidoglio l'anno successivo era alla guida delle gialle (!) Ducati 750 SS ufficiali del team di Spaggiari. Vinse anche con quelle realizzando un record sulla pista romano che per l'epoca era fantascientifico: 57"6 sul circuito corto.

Tanto talento non poteva passare inosservato, nel 1976 era già nel mondiale, nelle medie cilindrate, con una Yamaha. La stagione successiva, il 1977, vicecampione del mondo con la Harley-Davidson, davanti al caposquadra Walter Villa. E della convivenza, tutt'altro che pacifica, dei due si potrebbe scrivere a lungo.

Franco Uncini 1982Un altro anno con la Yamaha nelle 'medie' e nel 1979 il salto in 500, con una Suzuki RG 500 standard. Nei box un meccanico, Mario Ciamberlini, Ennio, il padre e Livio Stefanacci, lo sponsor mecenate. perché ai tempi ancora ne esistevano.

Quinto assoluto al debutto. Gli altri? Roberts, Ferrari, Sheene ed Hartog. Non proprio gli ultimi arrivati. Nel 1980 fa ancora meglio: quarto assoluto, con un secondo posto alle spalle di Kenny a Misano. Poi un anno così così, l'ufficializzazione nel 1982 ed il titolo mondiale con il team Gallina che la stagione precedente aveva titolato Marco Lucchinelli. Quindi l'incidente, ad Assen, nel 1983: investito dal debuttante Wayne Gardner, il coma, il rischio della vita, la ripresa, ma con una Suzuki ormai non più competitiva. Fino all'oggi: responsabile della sicurezza dei piloti per la FIM.

"Da allora, dalle gare di Vallelunga ad oggi sono stati fatti degli incredibili passi in avanti per la sicurezza - racconta - e non solo nei circuiti. Pensiamo a come ci proteggevamo allora…in un certo senso nei miei primi anni c'era già il casco integrale, ma le tute…erano fatte per essere comode, morbide…ma era meglio non cadere".

Non era inusuale, allora, vedere tornare ai box un pilota dopo una scivolata con la tuta strappata, in canottiera.

"Non c'era una via di mezzo fra vestibilità e sicurezza. Le tute inglesi erano di cuoio rigido, quasi grezzo, quelle italiane più stilose ma troppo leggere".

Finché non arrivò un giovane che si chiamava Lino Dainese.

"Non ricordo quando lo conobbi e quando ci presentammo. So solo che fu il primo a cucire una tuta che aveva come obiettivo di proteggere il pilota, non solo di vestirlo. Rimanendo comoda. Anzi la prima tuta tagliata per essere indossata stando in moto".

Uncini la ricorda bene.

"Le braccia erano cucite dal davanti del torso, perché si guida tenendole in avanti. Fino ad allora, invece, erano laterali, come quelle di una giacca. Anche le gambe erano angolate per seguire la posizione in sella".

Non c'erano ancora le protezioni.

"Fino a quel momento si sovrapponevano due strati di pelle nei punti più soggetti ad usura in caso di scivolata, le spalle, i fianchi, ma cominciavamo con le prime gomme slick a piegare a 45° ed oltre, toccando con le ginocchia, così toccava inventarsi qualcosa…Barry Sheene tagliava le visiere dei caschi e se le applicava sulle ginocchia coprendole con il nastro americano. Cominciammo a fare tutti così. Eravamo pionieri dell'abbigliamento. Poi c'era il problema degli stivali, morbidi, leggerissimi, si finiva con le dita dei piedi fuori, sanguinanti".

Così arrivò il 'porcospino'.

"Dainese ebbe l'idea di inserire dei dischi di nylon con delle protuberanze che fuoriuscivano da degli appositi spazi. Il problema era che si consumavano rapidamente, poi si rompevano i supporti e…fumavano quando ci si appoggiava all'asfalto".

Bisognava inventare qualcosa di nuovo.

"Lino era molto schivo, non veniva a tutte le corse. Lo si vedeva solo ogni tanto ed era sempre distinto, sorridente, mai fuori posto. C'era ma quasi non si vedeva. Però domandava, si informava e mano mano le sue idee prendevano forma e ad ogni tuta nuova che mi arrivava c'erano delle novità. Nuovi supporti, inserti di nuovi materiali a protezione, le spider, la gobba aerodinamica evolutasi sino a container delle tecnologie della D-Air, la prima con airbag. Un progresso che non si è fermato nemmeno ora".

Ci sono voluti trenta anni per rimettere Franco Uncini su di una motocicletta.

"Sì, e se l'ho fatto è stato grazie a Loris Capirossi che dopo il GP di Malesia mi ha organizzato una sessione di guida con la nuova Ducati 1199 Panigale...e a Lino Dainese che mi ha fatto una nuova tuta a tempo di record. Quando l'ho indossata nei box di Sepang mi sono reso conto di quanto tempo era passato. Una armatura flessibile, comoda. Ho invidiato un po' i piloti i oggi, ed anche i motociclisti di oggi che hanno moto così potenti e guidabili. Per fortuna Lino è ancora in giro e ce n'è bisogno visto i siluri di oggi. Ma se io sono ancora sano un po' lo devo anche a lui!".

GUARDA IL VIDEO

 

 

 

Articoli che potrebbero interessarti