Motomondiale alla deriva: Rea "in proprio"

Piloti imprenditori improvvisati, squadre in bancarotta e pochi sponsor. È questo un mondiale?


I giorni degli ingaggi milionari e giri del mondo in prima classe sono ormai un lontano ricordo per la maggior parte dei piloti. In tempi di crisi, molti di loro sono costretti a mettere mano al portafogli per correre. Alcuni lo fanno procacciando sponsor, altri contribuendo alle spese dei team. Gino Rea si è addirittura messo in proprio.

Dopo aver perso la propria sella nel team ESGP, ritiratosi dal campionato per problemi finanziari (perdita di uno dei main sponsor), il britannico ed il padre David hanno deciso di vestire i panni degli imprenditori, mettendo in piede una squadra per partecipare come wild-card agli 11 GP europei in calendario. Oltre all'approvazione di Dorna e IRTA, Rea si è assicurato anche un accordo con la FTR. Ora non resta che raccogliere i fondi necessari (si parla 23mila euro a gara), e a questo proposito l'ex-pilota del team Gresini ha lanciato un sito per donatori e sponsor, dove offre una varietà di gadget e pacchetti di sponsorizzazione.

L'iniziativa ha sicuramente dell'originale (anche se non nuova in assoluto), e un pizzico di surreale, ma è sintomatica di un modello economico che non funziona più. Il motomondiale è in ginocchio. Nella classe regina solo i piloti su MotoGP ufficiali o satellite percepiscono stipendi sostanziosi, mentre le categorie minori, per quanto combattute e spettacolari, non attraggono sponsor, costringendo la maggior parte dei partecipanti a contribuire di tasca propria.

In Moto2 non ci sono Case ma telaisti, con ovvie ripercussioni negative dal punto di vista di circolazione del capitale. In Moto3 va anche peggio, perché il passaggio alle quattro tempi ha addirittura aumentato i costi (si parla di 400mila euro per una KTM ufficiale la scorsa stagione, contro i 250mila che costava un'Aprilia "full factory"). E se, come sembra, Honda si chiamasse fuori e congelasse lo sviluppo, la Casa austriaca si troverebbe in una situazione di monopolio che (come accadde con Aprilia ai tempi della 125) aumenterebbe ulteriormente i costi.

L'unica soluzione proposta finora è quella di mettere un tetto ai costi. Il prezzo di un motore della classe cadetta è già fissato a 12mila Euro, e dal 2014 (2015 per la MotoGP) la Dorna vorrebbe adottare simili misure per telai, sospensioni e freni. L'obiettivo fissato per la MotoGP del futuro è 1 milione per moto (contro i 250mila Euro della Superbike). Basterebbe questo a rimettere in piedi il campionato? Probabilmente no. Almeno finché l'organizzazione si concentrerà esclusivamente sulla vendita dei diritti televisivi.

La fuga di sponsor è dovuta innanzitutto agli scarsi dividendi. A differenza della Formula 1, la MotoGP non è un marchio "glamour" dove alle gare vengono condotte riunioni d'affari tra rappresentanti di aziende d'alto profilo. Non bastano più alcune statistiche su audience e spettatori a convincere un investitore a versare milioni di euro. Serve una maggiore differenziazione dell'offerta e un riposizionamento del campionato stesso, per un coinvolgimento che vada oltre i soliti settori (bibite, energia, componenti, etc.). Adattarsi per sopravvivere, pena la sparizione.

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