La 'figlia' di Preziosi: la Desmosedici

La storia della Rossa: dal traliccio al deltabox, da Capirossi a Rossi passando per Stoner


Correva l'anno 2002 e la classe regina del motociclismo era appena entrata nella nuova era a 4 tempi, con moto da 990cc. Le Case giapponesi, chi più chi meno, si erano fatte trovare pronte a questa rivoluzione che metteva fine alle gloriose 500 2t, e il grande clima di innovazione aveva portato ulteriori case motociclistiche a compiere il grande salto. Durante l'ultimo week-end di Valencia però, ecco una moto rossa effettuare un primo giro dimostrativo davanti a migliaia di spettatori. In sella un Troy Bayliss reduce dalla grande sfida di Imola. La moto era la Ducati Desmosedici GP3, il prototipo che segnava l'ingresso ufficiale di Borgo Panigale nel campionato mondiale MotoGP. Una moto figlia dell'ingegno e della matita dell'ingegner Filippo Preziosi.

DESMODROMICO E TRALICCIO - Chiaramente, per il suo debutto, la Ducati non potè che attingere dalla loro vittoriosa storia tra le derivate di serie. Il telaio della Gp3 era il classico traliccio in tubi, ed il motore un quattro cilindri ad L, quindi con bancata di 90 gradi. Il Know-how tecnologico derivante dal mondiale Superbike avrebbe dovuto portare all'utilizzo di un bicilindrico, ma così facendo si sarebbe dovuto ricorrere ad una corsa dei postoni molto corta, con un alesaggio esagerato. A Borgo Panigale pensarono addirittura ad una soluzione bicilindrica con pistoni ovali, ma alla fine optarono per la soluzione a quattro cilindri.

Durante i test invernali vennero sperimentate due diverse versioni di erogazione della potenza: la prima, definita twin pulse, comportava lo scoppio simultano della miscela nei cilindri della stessa bancata per replicare, per certi versi, il comportamento di un bicilindrico, ed offrire maggior coppia ai bassi regimi; la seconda, definita four pulse, prevedeva gli scoppi regolari, ottenendo così una maggior potenza massima, a scapito della trazione. Nel suo primo anno di competizioni, venne adottata la seconda soluzione, preferita da Loris Capirossi. Il sistema di distribuzione era anch'esso derivato dalle Superbike, ma questo propulsore proponeva sedici valvole - quattro valvole per cilindro - azionate da un bialbero a comando desmodromico. Da qui il nome Desmosedici. Durante la prima stagione, la Ducati si distinse per la grandissima potenza messa in campo in maniera fin troppo scorbutica.

Era infatti usuale vedere in azione Troy Bayliss e Loris Capirossi lottare per domare la propria moto sopratutto in uscita di curva. Per cercare di rendere più lineare l'erogazione e sfruttare maggiormente la coppia, a partire dal Gran Premio di Assen del 2004, a Borgo Panigale decisero di optare per la configurazione Twin Pulse, con gli scoppi irregolari.

MOTORE PORTANTE E L'EVOLUZIONE NEGLI ANNI - Ulteriore caratteristica della Desmosedici GP3 era l'introduzione del concetto di motore portante, evolutosi nel corso degli anni parallelamente allo sviluppo del telaio. In questa prima versione, la GP3 aveva il retrotreno vincolato al motore. Il perno del forcellone ed il bilanciere della sospensione erano collegati direttamente al motore. Una evoluzione che arrivò alla sua definitiva consacrazione nel passaggio ai motori da 800cc avvenuto nel 2007, con la vittoriosa GP7 che, oltre a presentare il motore portante, aveva il telaio anteriore completamente disgiunto da quello posteriore. Al centro del progetto c'era il propulsore, mentre il telaio svolgeva "unicamente" il compito di collegare il motore al perno dello sterzo. Una soluzione estrema, che rendeva la moto compatta ma anche di difficile interpretazione.

IL TELAIO, PUNTO NODALE - Per certi versi, la stagione 2007 segnò uno spartiacque nella storia della Desmosedici. Da un lato, ovviamente, la conquista del titolo mondiale da parte di Casey Stoner, con una cavalcata assolutamente trionfale, e contraddistinta da una guida molto estrema. Dall'altro però, le prestazioni degli altri piloti della casa italiana, altalenanti o insoddisfacenti. Fin dal suo esordio infatti, la moto aveva mostrato uno suo carattere forte e deciso e a farne le spese furono prima Troy Bayliss (che comunque regalò dei podi alla Ducati), ed in seguito Sete Gibernau, afflitto da tutta una serie di infortuni. Proprio nel 2007, a fronte dell'exploit del giovane Stoner, Capirossi visse la sua peggior stagione in sella alla moto di Borgo Panigale.

L'evoluzione di questo progetto, di questa filosofia progettuale continuò anche nel 2008, con uno Stoner ancora vincente (ma non campione) ed un Marco Melandri in piena crisi, incapace di "sentire" le reazioni dell'anteriore. Nel 2009, quindi, ecco la seconda grande rivoluzione dal punto di vista telaistico: sulla GP9 fece capolino infatti l'ormai famoso telaio monoscocca in carbonio. Secondo i tecnici di Borgo Panigale, questa sarebbe stata la soluzione ottimale per poter assecondare maggiormente le richieste di versatilità e di rigidità torsionali e flessionali in base alle indicazioni dei piloti. Non un telaio perimetrale, ma uno scatolato in carbonio, le cui modifiche si sarebbero potute ottenere cambiando le caratteristiche degli strati (o fogli) di carbonio utilizzati nella realizzazione del pezzo stesso. Inoltre, questo telaio fungeva anche da Air-Box. Una soluzione rivoluzionaria che portò ulteriori vittorie, ma con il solo Casey Stoner. Dove risiedeva il problema del telaio inscatolato in carbonio? In fondo, Ducati non fu la prima ad utilizzare tale materiale; basti pensare alla Cagiva con la sua 500cc nel 1990. A Borgo Panigale puntavano a risolvere fortemente il problema del chattering, ma purtroppo si era andati incontro ad un effetto collaterale. Lo smorzamento infatti nella parte anteriore della moto, eliminava de facto anche le informazioni che le vibrazioni "comunicano al pilota". La miglior comunicazione tra asfalto e pilota infatti, deve ricevere quante meno interferenze possibili. Se a questa comunicazione inseriamo un "filtro" - leggasi carbonio - che rimuove o comunque modifica tali informazioni, il pilota deve imparare ad interpretare da zero i feedback che riceve. Il telaio in carbonio, smorzando fin troppo le vibrazioni, riduceva il quantitativo di informazioni che un pilota doveva ricevere, generando quindi insicurezza e poca fiducia. Ecco perchè, a fine gara, la frase più ricorrente era "non sento l'anteriore"

L'ERA ROSSI ED IL PERIMETRALE - Lo sviluppo della Desmosedici nel corso degli anni, si incentrò anche dal punto di vista aerodinamico. Esempi lampanti furono l'integrazione dello scarico nel codino nella seconda metà del 2009, e due flap posti sulle carene per migliorare la stabilità della moto e indirizzare i flussi d'aria all'interno del propulsore e migliorare il raffreddamento, soluzione questa poi bocciata nel 2011, con l'avvento di Valentino Rossi. Proprio l'arrivo del campione di Tavullia portò a tutta una serie di piccole e grandi rivoluzioni in seno alla Desmosedici. L'ingegner Preziosi ed il suo staff avevano come obiettivo una moto in grado di essere maggiormente prevedibile nelle sue reazioni, più "umana" ed in grado di essere portata al limite da tutti i piloti. Il 9 volte campione del mondo non si trovò a suo agio con quel concetto di moto finora sviluppato e, a partire dal gran premio di Assen in Ducati decisero di portare in gara la ciclistica della futura moto da 1000cc (la GP12) con all'interno il motore da 800cc. In altre parole, si decise di effettuare lo sviluppo della futura moto in gara. Nacque la Desmosedici GP11.1.

I risultati non arrivarono e quindi si decise di tentare l'avventura del telaio perimetrale, soluzione "tradizionale" ma totalmente nuova per gli uomini di Borgo Panigale. Arrivò così alla fine dell'anno il primo prototipo denominato GP Zero, una sorta di "manichino" dove testare soluzioni che avrebbero portato alla agognata nascita della Desmosedici GP12. Il nuovo telaio perimetrale permise una rotazione del propulsore ad L di circa 45 gradi, e lo spostamento del serbatoio sotto la sella, in modo da concentrare maggiormente le masse. Questo infatti era uno dei punti nodali: la centralizzazione delle masse, limitata fortemente da un motore progettato per essere portante, elemento stressato e cardine della moto, ma limitante nel momento in cui si doveva effettuare uno spostamento dei pesi. Il layout del Desmosedici, fino all'arrivo del perimetrale, faceva si che gran parte della massa della moto si trovasse più indietro (rispetto alla concorrenza).

La difficoltà nella distribuzione del peso si ripercuoteva sulla cronica difficoltà dei piloti a mandare in temperatura la gomma anteriore. Conseguentemente, il comportamento stesso della moto nei trasferimenti di carico era differente. Con il perimetrale, il V di 90, molto lungo, da elemento cardine, divenne elemento "quasi accessorio" per via del perno che aveva permesso - come detto sopra - la rotazione indietro di 45 gradi, e quindi un miglioramento nella centralizzazione delle masse. Si trattava di un primo step di sviluppo, in un campo in cui le case giapponesi erano maestre da trent'anni. Era chiaro quindi che, in un mondo come quello della Motogp, dettato dall'esasperazione tecnologica, non ci si poteva attendere un miracolo in termini prestazionali fin da subito. Ecco perchè, ad inizio 2012, il ritardo accusato dai migliori di 1.5 secondi fu visto come di buon auspicio in vista di uno sviluppo futuro. A conti fatti, lo staff di Preziosi aveva effettuato un buon lavoro di partenza, ma poi?

Lo Sviluppo nel corso del 2012 continuò con i test al Mugello, con l'adozione di un nuovo forcellone posteriore in alluminio, ma sopratutto con la promessa di un propulsore nuovo in arrivo per il round di Laguna Seca che avrebbe permesso il salto di qualità, lo step successivo, proprio quell'auspicato miglior baricentro anche grazie allo spostamento del perno del forcellone, cosa impossibile da attuare con fino a quel momento. Motore che però, di fatto non arrivò, anche per la contemporanea trattativa tra Audi e Ducati che rallentò (congelò?) lo sviluppo della moto.  Il resto è storia recente, con il passaggio al settore Ricerca e Sviluppo e - giunte come un fulmine a ciel sereno, ma nemmeno troppo - le dimissioni del papà della Desmosedici, Filippo Preziosi.

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