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Ducati: intervista al Direttore Tecnico Andrea Forni – “Il Desmo è pura prestazione”

In una intervista esclusiva l’ing. Forni ci racconta passato, presente e futuro di Ducati

Moto - News: Ducati: intervista al Direttore Tecnico Andrea Forni – “Il Desmo è pura prestazione”

È l’uomo chiamato ad esprimere l’italianità della Ducati nel mondo delle due ruote. Ieri è stato nominato direttore tecnico della Casa di Borgo Panigale. Un inciso aperto da Claudio Domenicali durante la presentazione della 899 Panigale, in realtà la nomina è il frutto della logica, di una scelta a lungo ponderata dopo che Filippo Preziosi aveva lasciato un vuoto da colmare a febbraio. Andrea Forni è un anti-personaggio. Istintivamente simpatico. Diretto. Sa snocciolare a memoria tutti i dati tecnici della 899 Panigale. Nella sua testa c’è racchiuso il DNA Ducati. Classe 1957, a 56 anni l’ingegnere bolognese corona un sogno: l’inizio del suo legame con la Rossa è di 25 anni fa. Ha vissuto dal di dentro l’ascesa di un marchio che ha fatto della sportività la sua eccellenza nelle due ruote.

"Voglio ringraziare chi mi ha dato fiducia in questo ruolo. Non nascondo di essere molto contento che abbiano pensato a me. Nell’organigramma sono il responsabile di tutte le fasi di progettazione e sviluppo dei prodotti Ducati. Una struttura che è divisa in tre sotto-gruppi: veicolo, motore ed elettronica. A livello personale sono contento che abbiano pensato a me: è una grossa soddisfazione...".

Venticinque anni di storia: che Ducati aveva trovato quando è arrivato a Borgo Panigale?
" All’epoca la Ducati era parte del gruppo Cagiva. Era un’azienda che contava circa 250 dipendenti e il business era piuttosto modesto: si costruivano poche migliaia di moto all’anno. Il grosso del lavoro, infatti, era il montaggio dei motori per la VM di Cento. L’ingegner Massimo Bordi, che era il responsabile tecnico, aveva deciso che era arrivato il momento di allestire un reparto esperienze destinato solo alle moto stradali. Fino ad allora c’era un unico reparto di ricerca, nel quale si trattavano sia le moto da corsa che quelle stradali. Quel gruppo era diretto dal mitico Franco Farnè. Era l’epoca in cui la Ducati stava tornando a correre in SBK, per cui tutto l’impegno di Farné era naturalmente finalizzato al Motorsport".

E come era nato il contatto con Massimo Bordi?
"Beh, è piuttosto semplice. Appena laureato avevo trovato lavoro alla Weber, oggi Magneti Marelli. Eravamo fornitori della Ducati e il nostro stabilimento bolognese era davvero ad un tiro di schioppo da Borgo Panigale. L’ingegner Bordi cercava un ingegnere per il nuovo reparto esperienze e mi ero fatto avanti…".

Da quanti tecnici era composto il nucleo di allora e quante persone dirige lei oggi?
"Mi viene da ridere solo a pensarci: eravamo in tre, contato Bordi. Il gruppo era formato da lui, io ed un elettronico. Oggi in R&D Ducati ci sono 150 persone, delle quali un centinaio sono ingegneri".

La gestione tecnica è piramidale? Decide un uomo solo?
"No assolutamente, oggi è impossibile che una persona sola possa dare delle direttive precise a 150 persone. Abbiamo un’organizzazione con tre gruppi funzionali: veicolo, motore e elettronica. All’interno di ogni gruppo ci sono persone dedicate alla progettazione, alla costruzione dei prototipi e alla sperimentazione. Ogni unità ha un responsabile che risponde a me. Il dialogo avviene per stratificazione".

Eredita un’organizzazione costruita da altri: ci sarà bisogno di cambiare delle strategie?
"No, il metodo di lavoro è quello giusto. Quando Domenicali nella conferenza stampa ha parlato di rivedere l’organizzazione, intendeva dire che si vogliono inserire delle nuove figure: il nostro piano prevede di incrementare gli organici. Si può parlare di una decina di persone all’anno per un programma pluriennale. E questo vale sia per il prodotto che per le corse. L’obiettivo della Ducati è crescere e siccome è proprio il prodotto il suo punto di forza, deve crescere nelle persone che fanno il prodotto. L’organizzazione dell’area tecnica è tipica a matrice: si tratta di un sistema efficace che è abbastanza diffuso nell’area automotive. Ci sono figure specialistiche che si occupano di ricerca pura, sperimentazione e simulazione e ci sono altre figure trasversali, quelle che si chiamano project manager, i quali seguono un prodotto, che sia la Panigale o la Monster, per fare un esempio, dall’inizio della progettazione fino alla produzione, in tutte le sue complessità. Il project manager si deve avvalere delle competenze specialistiche per dare corpo al suo progetto".

Qual è l’elemento di orgoglio che riconosce nella "Panigalina"?
"E’ una moto "facile" che può interessare coloro i quali cercano la tessera mancante nel mosaico Ducati per raggiunge un numero di clienti più vasto: con la 899 Panigale cercheremo di accontentare l’impallinato che va in pista per cercare le prestazioni estreme, ma anche quello che usa la moto per andare sui passi appenninici e solo ogni tanto vuole andare in circuito".

Cosa manca a questa novità che avrebbe voluto metterci?
"Niente, non manca proprio niente. Certo nel fine tuning si potrebbe andare avanti all’infinito, ma è il tempo che mette uno stop alla sviluppo se si vuole mettere la moto su strada. Direi che la 899 Panigale è un prodotto completo".

Domenicali ha detto che la moto deve essere anche bella da vedere. È ancora uno status symbol utile all’"acchiappo"?
"Sempre, non è cambiato niente negli anni. La moto è da acchiappo: chi la cavalca ha lo stesso fascino che aveva il cavaliere medioevale sul destriero. L’attrattiva del centauro è immutata. Io penso che le donne rimangano attratte dal fascino della moto e si registra una loro sempre maggiore attenzione alle due ruote. Se ne vedono diverse sulle moto sportive, anche se non sono ancora così numerose come mi piacerebbe. Ecco, credo che la 899 Panigale si possa adattare a loro. E per chiudere il cerchio sull’acchiappo, non escluderei affatto che si siano anche ribaltati i ruoli e che una donna abbia sedotto grazie alla moto come passione comune...".

Si parla tanto di ABS attivo: a che punto siete arrivati?
"Per il momento non abbiamo allo studio di questa applicazione sulla moto. Stiamo sviluppando un ABS più evoluto, ma non è ancora quello attivo…".

Qual è la sua reazione alla parola Scrambler?
"Questo è un termine che sento citare da tanti. Ho visto qualche foto su alcuni giornali. Qualcosa potrebbe bollire in pentola, ma non posso dare ulteriori dettagli".

Le scelte del motore portante o della distribuzione desmo, soluzioni che fanno parte della filosofia della Casa, non sono state troppo condizionanti nelle competizioni, visto che le regole portavano a sistemi diversi?
"No, proprio l’esempio del desmo è illuminante. Il desmo non è un vincolo che è stato posto dall’alto, visto che è montato sulle Ducati per gli indubbi vantaggi tecnici che dà. Vuole la prova? Quando le MotoGp passarono dai propulsori mille agli 800 cc, la riduzione di cilindrata aveva permesso di avere motori che potevano girare a regimi più elevati. Il desmo era stato in grado di reggere l’aumento senza problemi per la sua superiorità tecnologica, mentre i propulsori a molle dei giapponesi andarono in crisi. Nel 2007 ci ricordiamo tutti come Stoner sverniciasse le giapponesi sul dritto perché le molle non ce la facevano a consentire diagrammi di distribuzione spinti a quei regimi. Per chiudere il gap con noi erano stati costretti a passare alle valvole con il controllo pneumatico, prendendo una tecnologia di Formula 1, raggiungendo quelle prestazioni che il desmo aveva dall’inizio. Il desmo, quindi, non è una questione di marketing, ma di pura prestazione".

La gente, però, pensa che non siete più capaci di fare moto da corsa vincenti…
"Per fortuna non è sempre stato così. Il problema è degli ultimi due anni e mezzo nella Moto GP: faccio fatica ad entrare nei problemi specifici, perché non li conosco. Non ho mai lavorato sulle moto da corsa se non all’inizio della mia storia Ducati".

Su strada propone un prodotto avanzato che poi in pista le prende sonoramente…
"C’è un apparente contrasto che dobbiamo superare al più presto. È evidente a tutti e quindi non possiamo negarlo, visto che i risultati parlano da soli. Ma sono sicuro che si sarà una inversione di tendenza perché la Ducati Corse ha programmato quelle integrazioni di personale che dovrebbero permetterle un importante salto di qualità".

La leggerezza è il primo dei cinque punti che qualificano una Ducati: una ricerca ossessiva che non è finalizzata solo alle prestazioni, ma anche al calo dei consumi e delle emissioni…
"La leggerezza si persegue con due filosofie di base: si ottiene riducendo il numero dei componenti sulla moto, oppure alleggerendo ogni singola parte. Sulla Panigale 1199 abbiamo seguito la filosofia della riduzione dei componenti, sostituendo il telaio a traliccio con quello con airbox con motore portante e forcellone fulcrato sul motore. La Ducati, però, a questa filosofia ha aggiunto la volontà di ridurre il peso di ogni componente. Ecco questo sarà uno degli elementi che vedrete all’Eicma in novembre e credetemi sarà un bel vedere…".

Qual è la "visione" sul futuro del nuovo direttore tecnico Ducati??
"Diciamo che la visione non la decide solo il direttore tecnico. Chi ha in mano le chiavi della tecnica deve cercare di declinare al meglio possibile le indicazioni del comitato di direzione. È in questo Board, di cui faccio parte anche io, che si fanno le scelte. Ricordando che l’ultima parola spetta all’amministratore delegato che deve "benedire" i progetti".

Qual è la sua ambizione?
"Continuare la tradizione Ducati di Taglioni prima e Bordi poi. Bordi non era solo perché poteva contare su Farnè e Mengoli che c’è ancora. Ci sono state persone che hanno fatto della Ducati la Ferrari a due ruote. Mi piacerebbe continuare a fare due ruote che siamo l’emblema della moto italiana nel mondo".

La Ducati si prepara a fare delle assunzioni: saranno tecnici locali visto che Claudio Domenicali vuole aprire una collaborazione con l’Università bolognese o vi rivolgerete al mercato globale?
"Si siamo aperti, abbiamo tecnici stranieri, a cominciare del responsabile del Reparto Corse, Bernhard Gobmeier. Non guardo da dove viene il tecnico, ma quanto è bravo. Non conta se è cinese…".

La nostra "scuola", comunque, non è morta?
"Assolutamente no, la scuola italiana è preparata per formare nuovi tecnici…".

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