Sono passati sei anni dall’ultima vittoria di un pilota privato nella classe regina. Era il 2006 ed in Portogallo, all’Estoril, Toni Elias – complice una gommetta giusta – piegò sua maestà Valentino Rossi alla guida della Honda del team Gresini.
Sei anni non sono una distanza galattica, eppure ricordando quel momento e confrontandolo con la situazione attuale, ci si rende conto di essere distanti anni luce da quella MotoGP.
Da allora, infatti, i team Satellite si sono ridotti da coprotagonisti del mondiale a semplici comprimari, con grave impoverimento dello spettacolo.
Perché? E quali possono essere le soluzioni a questo dramma? Lo abbiamo chiesto a Livio Suppo, direttore marketing della Honda.
“La prima delle differenze è che allora i team Satelliti erano molto più ricchi di oggi, quindi si potevano permettere moto e piloti migliori – spiega – ma era molto diversa anche la situazione, perché allora c’era un solo pilota veramente più forte degli altri, Valentino Rossi. Il resto erano ottimi piloti, ma leggermente inferiori, gente come Sete Gibernau e Max Biaggi. Oggi, invece, ci sono tre piloti che fanno un altro sport, Jorge Lorenzo, Dani Pedrosa e Casey Stoner. Tutti gli altri sono distanti”.
E’ una visione un po’ assolutistica, quella di Suppo. Secondo il manager a fare la differenza, attualmente, non sono le moto, ma i piloti.
“Quello che disse Rossi quando lasciò la Honda per la Yamaha è valido anche ora – afferma – ed infatti Dani, Jorge e Casey sarebbero vincenti con qualsiasi moto. Faccio un po’ di esempi: quando Capirossi e Bautista guidavano la Suzuki dicevano che la moto non andava, ma oggi Alvaro non è che faccia molto meglio…e a chi dice che la Ducati è lontanissima da noi rispondo: probabilmente con uno dei tre sarebbe a pochi decimi. E’ vero che oggi la guida Valentino, ma il valore attuale di Rossi lo vedremo solo il prossimo anno…e attualmente credo si possa dire che Vale ha perso un po’ di confidenza e voglia, facendola perdere, di conseguenza, a tutti gli altri ducatisti”.
La conseguenza di questo ragionamento, però, è che non c’è alcuna soluzione per migliorare lo spettacolo, a meno di far partire i migliori dal fondo dello schieramento, ad handicap.
“Io una idea ce l’ho, ma è troppo avanti – è la risposta di Livio Suppo – i piloti dovrebbero guidare a rotazione tutte le moto in pista. Alla fine dell’anno la moto che ha vinto di più darebbe alla casa il mondiale marche ed il pilota con più vittorie il campione del mondo. Questa soluzione non solo darebbe ad ogni casa la possibilità di provare la sua tecnologia con i migliori piloti, ma calmiererebbe anche il costo degli ingaggi”.
Non è la prima volta che Suppo tira fuori questa idea. Ed in realtà la ebbe anche Bernie Ecclestone anni fa, ma se quella del boss della F.1 era una provocazione, Suppo crede fermamente che questa sia la soluzione.
“Ma è troppo avanti – ribadisce – lo so che non sarà presa in considerazione”.
Inutile argomentare che, più che uno sport il risultato sarebbe un circo, Suppo la pensa esattamente al contrario.
“Così si darebbe a tutti i piloti la possibilità di mettersi alla prova con moto diverse e non ci sarebbero ritiri come quello della Kawasaki e della Suzuki, che si sono fermate perché non sono riuscite ad attrarre piloti competitivi”.
E chi pagherebbe per questo?
“La Dorna, ovviamente – spiega Suppo – con degli ingaggi fissi a seconda dei risultati ottenuti”.
Soluzioni alternative, per il momento, Livio Suppo non ne vede. Anzi, no, una c’è all’orizzonte, peccato che sia un ritorno al passato.
“L’unica alternativa sarebbe ritornare ad una competizione fra gommisti. Allora un team Satellite potrebbe giocare la carta degli pneumatici diversi. Fu ciò che io feci in Ducati nel 2005, vincendo poi con Stoner nel 2007”.
Guardare indietro per andare avanti. Forse non è una cattiva idea.