Dopo sei gare è arrivato il pareggio. Rossi e Hayden nella personale sfida interna al team Ducati sono 3 a 3: per tre volte Valentino in gara ha preceduto il compagno di squadra e l’americano ha fatto altrettanto. In qualifica, invece, il bilancio pende addirittura a favore del ragazzo del Kentucky, partito per quattro volte su sei davanti al Dottore. Se, inoltre, Nicky ha potuto guardare accendersi la luce verde una volta dalla prima fila e un’altra dalla seconda, Rossi non ha mai fatto meglio della terza, “spingendosi” addirittura a Jerez in quarta. Ma più che le differenti caselle di partenza, fanno riflettere i distacchi: contenuti quando le qualifiche sono in favore di Vale, abissali (Catalunya a parte) quando invece è Hayden ad avere avuto la meglio.
Si dice che il primo avversario di un pilota sia quello con cui divide il box e dopo sei Gran Premi canta vittoria il meno favorito dei bookmakers. Il risultato non deve stupire troppo, l’anno scorso il pilota di Tavullia aveva preceduto sullo schieramento l’americano 9 volte contro 8, ma le cose erano andata meglio in gara, dove la partita era finita 10 a 7. In questa stagione il risultato non è così scontato e il primo a essersene accorto è il numero 46 che a Silverstone ha dichiarato: “ci sono piste che io riesco ad interpretare meglio e altre in cui lo fa Nicky, su alcune la mia squadra lavora meglio su altre la sua”.
Parole che sorprendono in bocca a chi nella classe regina ha vinto 7 titoli, 79 gare e conquistato 49 pole position, mentre l’avversario è fermo a un titolo, 3 gare e 5 partenze al palo. Hayden non è certo un pilota lento e non è nostra intenzione assolutamente sminuire il suo valore, ma se i numeri dicono qualcosa dovrebbe essere chiaro chi è il capitano e chi il gregario. Così non è e il motivo non può essere che la Ducati, una moto completamente diversa, per stessa ammissione di Valentino, da quelle che ha guidato in tutta la sua carriera.
Sintetizzando, e usando sempre le parole di Rossi, la Desmosedici è “bassa e lunga”, le giapponesi “alte e corte”. Non possono essere guidate allo stesso modo, bisogna adattarsi, resettare i riferimenti imparati in tanti anni e ricominciare a “imparare” a guidare. Facile a dirsi, ma difficile a farsi. La ricetta per il successo è fatta ti tanti ingredienti, basta sbagliarne uno per ritrovarsi un piatto insipido al posto di una pietanza prelibata. E’ quello che sta succedendo con la Ducati e il campionissimo, la loro non è una danza ma un braccio di ferro ad ogni curva, dove ognuno vuole imporre all’altro la propria forza.
La situazione finale è di stallo, senza vincitori ma con due sconfitti. Di chi è la colpa? Incredibilmente di nessuno. La D16 non è certo un “cancello”, per usare lo slang dei motociclisti, buona solo per le retrovie e Valentino non è un pilota “bollito” e pronto per la pensione. L’ha dimostrato a Le Mans, dove in condizioni particolari la sua classe è venuta di nuovo a galla. Non è bastato un “vero” telaio per trasformare la Ducati nella moto dei suoi sogni e non è mai riuscito a trovare in sella quella fiducia che gli permette di guidare ai propri limiti. Dopo un anno e mezzo i punti interrogativi sono ancora più delle certezze.
Perché Valentino rimanga sulla rossa bolognese devono sparire completamente, e farlo in fretta. Laguna Seca darà il responso, non conteranno tanto le pure prestazioni, quanto le sensazioni. Se affrontando il Cavatappi, Rossi troverà le risposte che cerca continuerà, altrimenti non rimarrà che dirsi addio. Senza drammi o rimpianti, non tutti i sogni si trasformano in realtà anche quando ci si impegna al massimo per realizzarsi. È una dura legge che non si può ignorare.