16.56, Sepang, Simoncelli non c'è più

Il paddock sprofonda nel silenzio in ricordo di Marco

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I 45 minuti della rianimazione disperata a Marco Simoncelli sono scanditi dall’immobilità delle pale dell’elicottero fermo davanti al centro medico. Gli occhi sono fissi, un movimento di quelle pale vorrebbe dire che c’è ancora speranza, che Marco ce la può fare. Tutta la stampa italiana, insieme altri addetti ai lavori, aspetta. Negli occhi ancora le immagini del terribile incidente, la moto di Edwards che colpisce il corpo del Sic a terra, quella di Rossi che tenta disperatamente di evitarlo.

Tutta la sua squadra è assiepata, ansiosa di una notizia che la risvegli da un brutto incubo, mentre la mente irrimediabilmente va al passato, a quel maledetto fine settimana di Suzuka di otto anni fa, quando a lasciarli fu Daijiro Kato. Gli sguardi sono bassi, le parole sussurrate a fatica, con un misto di rispetto e paura. Paura perché arrivi la conferma di quello che più si teme, che Marco non ci sia più.

Il paddock intero respira all’unisono, mentre i passi si fanno nervosi e le mani tremano. Ogni persona che esce dall’edificio bianco dove Marco sta lottando contro la morte, è accolta con un misto di speranza e timore. Un cenno della testa fa sussultare, le prime informazioni parlano dei dottori che stanno cercando di rianimarlo, un tentativo disperato. Ma c’è ancora una possibilità e tutti ci si aggrappano, il casco è stato scalzato dalla testa ma può avere attutito comunque la botta, è successo ad altri, forse non c’è ragione di preoccuparsi.

Aldo Gandolfo, il suo addetto stampa, scuote la testa incredulo per quello che è accaduto, incapace di farsene una ragione. Al suo fianco Carlo Pernat, il manager di Marco, che aspetta insieme ai giornalisti. I taccuini, le telecamere e i microfoni vogliono una sola notizia, che possa ancora farcela.

Poi d’un tratto quello che nessuno avrebbe mai voluto sentire viene detto, Marco se ne è andato, il trauma al collo ha spezzato in un secondo la sua vita. Suo padre Paolo esce dal medical centre, il suo volto è come congelato e il paddock lo stringe in un abbraccio. Sono passati 45 minuti da quando Simoncelli è entrato, i medici hanno tentato l’impossibile, ma questa volta il miracolo non è riuscito.

Cala il silenzio, interrotto solo dai pianti e ognuno si ritrova solo, con i suoi pensieri, i suoi ricordi, le sue immagini del Sic. La comunicazione ufficiale raggiunge le orecchie come un sibilo fastidioso, l’ora del decesso, le 16.56, un dato freddo, inutile, che non può cambiare quello che il destino ha deciso. Il paddock sprofonda in un silenzio irreale, dai box i rumori dei meccanici che mettono le moto nelle casse arrivano attutiti.

I piloti sono negli uffici a piangere per l’amico e rivale, tutti, nessuno escluso, ricordano Marco con affetto e simpatia. I meccanici cercano di rimanere concentrati sul proprio lavoro, un modo per non pensare alla tragedia, cercando nella routine di accettare quello che non può essere neanche pensato. Fausto Gresini rimane nel suo box insieme al padre del Sic, mentre amici e colleghi li avvolgono in una stretta, facendo sentire loro l’affetto e il calore, l’unica cosa possibili quando le parole non servono. Anche Andrea Dovizioso arriva, per essere vicino alla squadra e alla famiglia del suo più grande avversario.

La sera cala sul circuito di Sepang, gli occhi si alzano verso il cielo, a cercare una stella con il numero 58 inciso sopra.

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