Marco Simoncelli: l'ultima volta

La sequenza del dramma: una tragica fatalità


simoncellisimoncellisimoncelliLe lunghe dita infilate con la consueta smorfia sotto la visiera tra l'imbottitura, a ficcar dentro al casco le ciocche di quella folta capigliatura che sempre  ha vinto inutili battaglie col barbiere.

La splendida Kate di Bergamo dall'aria vagamente asiatica, al suo fianco da anni nella vita e in griglia, a tenergli l'ombrello sopra il casco.

La penultima gara del suo strano mondiale, transitato attraverso le turbolenze di un cielo fatto di polemiche e di glorie, dove non sempre però essere veloci è sinonimo di successo. In Malesia, dall'altra parte del mondo, sul circuito più torrido e lungo in calendario.

Era iniziata così la giornata di Marco Simoncelli, soprannominato anni fa da Guido Meda 'Superpippo'. Il supereroe assonnato e ciondolante che quando c'è da sistemare un guaio lo risolve con una manciata di arachidi.

Le sue arachidi erano la sua Honda ufficiale, diversa dalle altre ma solo nel colore, bada bene. Era era pronta al via, l'unica schierata in griglia con gomma dura perché in questo lungo circuito la Honda di Marco patisce più di tutte i consumi di carburante e gomme, e forse era necessario tutelarla montando qualcosa di diverso.

Marco partiva dalla quinta casella in seconda fila, e a metà giro era già quarto, proiettato all'inseguimento delle Honda di Stoner, Pedrosa e Dovizioso, le gemelle diverse.  “Domani posso rompere le scatole a quei tre lì davanti” scherzava ieri in conferenza.

In questo primo e interminabile giro aveva anche dato inizio allo spettacolo innescando una bella battaglia con la Suzuki del giovane Alvaro Bautista, che aveva cominciato a punzecchiarlo; i due si erano passati e ripassati.

Ma ad un certo punto il mondo ha inchiodato e ha iniziato a girare alla rovescia.

Alla solita curva 11, il tornante che immette nel rettilineo dei box, la Honda di Marco è scivolata sdraiandosi sul lato destro e lui accanto a lei, la gamba destra sotto, la spalla e la testa a terra, incrociando in una fatale rotta di collisione la traiettoria di Colin Edwards e Valentino Rossi, che sopraggiungevano insieme.

La telecamera on board di Bautista ha ripreso inesorabilmente l'impatto da dietro in questo interminabile giro di gara. La gomma anteriore di una delle due moto, o forse una pedana, gli ha sfilato il casco. Poi le stesse gomme l'hanno colpito alla nuca lasciandogli un solco profondo sulla pelle e abbandonandolo lì, privo di sensi, a terminare il suo rapido tragitto sull'asfalto col viso nudo rivolto a terra.

Il cuore ha smesso di correre, inutile incoraggiarlo. Vani i disperati tentativi di rianimazione dello staff medico.

E' andata così, l'ultima volta di Marco.

Marco era al suo secondo anno in MotoGP ma aveva iniziato a correre a 7 anni con le minimoto, come fanno oggi le giovani leve del motociclismo, e via via erano arrivati i numerosi successi.

Aveva 24 anni, viveva a Coriano, ed era uno fra i piloti più veloci al mondo.

Marco era anche il più spontaneo, il più divertente, il più ingombrante. Lui era il capellone. E la sua mancanza si sta già facendo sentire pungente.

Ciao Marco. Un saluto, prima che le polemiche sul 'perché è successo' e sul 'cosa si sarebbe potuto fare' arrivino pressanti ad affollare le nostre coscienze.

Tienici d'occhio da lassù, Sic. Diobò.

 

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