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SBK, Edwards e Bayliss, 2002 sfida epocale

VIDEO il duello lungo una stagione tra Troy Bayliss e Colin Edwards

SBK: Edwards e Bayliss, 2002 sfida epocale

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Le braccia aperte in segno di rassegnazione, con il pubblico che applaude entrambi i piloti, capaci di dare vita ad uno degli spettacoli più belli che il mondiale Superbike ricordi. Imola, autodromo Enzo e Dino Ferrari, 29 settembre 2002. Quel pilota, sconsolato ma comunque conscio di avercela messa tutta, è Troy Bayliss, in sella alla Ducati 998 F02, battuto nell’ultimo round stagionale da Colin Edwards, dopo 13 lunghe tappe intorno al mondo. Entrambi sarebbero passati l’anno successivo in Motogp: l’australiano con Ducati, il texano con Aprilia.

Entrambi monopolizzarono la stagione 2002, rendendola un unico, grande duello, entrato negli annali delle derivate di serie. Una stagione cominciata, come da tradizione nei primi anni 2000, sul circuito Ricardo Tormo di Valencia. Troy Bayliss aveva conquistato la tabella numero 1 l’anno precedente, riportando l’alloro iridato a Borgo Panigale dopo la difficile annata coincisa con il ritiro di Carl Fogarty e la vittoria, per la prima volta nella storia, di un bicilindrico giapponese.

Una stagione, quella del 2002, in cui le gomme la fecero da padrone. Le Michelin riuscirono a fare un grande balzo in avanti rispetto alle Dunlop, e piloti quali Noriyuki Haga, di rientro dalla deludente stagione in 500cc con il team WCM, o Ben Bostrom, non riuscirono a lasciare il segno. Fu anche per questo motivo che la stagione divenne fin dalle primissime battute un duello tra Bayliss ed Edwards. Una guerra psicologica che vide Bayliss letteralmente dominare i primi round. La Ducati aveva appena presentato la 998 F02, con il nuovo motore “testastretta” e nessuno sembrava in grado di contrastare il duo italo-australiano. Colin Edwards, dal canto suo, cominciò la stagione in sordina, con un quarto ed un terzo posto.

Una medaglia di legno ottenuta durante la prima manche che, evidentemente, proprio non andò giù al texano. Quella infatti fu la prima ed ultima volta in cui il rider Honda rimase ai piedi del podio.

Se Bayliss scappava, Edwards rincorreva. Questo il motivo principale delle prime tappe. Valencia, così come Phillip Island, e Kyalami. Vittorie conquistate con una facilità disarmante, e che mostravano una tranquillità da parte degli uomini in rosso, capace di mettere fuori gioco chiunque.

BAYLISS DOMINA INCONTRASTATO - Tutti sottomessi all'australiano. Tutti, ad eccezione di Colin Edwards. L’americano teneva duro, non si faceva abbattere dai risultati, e cercava di mantenere viva la speranza. Se Bayliss batte, Edwards risponde: il texano sale sempre sul podio. Si arriva a Sugo, round giapponese particolare, in cui le wild-card, storicamente, la fanno da padrone; per la prima volta Bayliss non impone la sua legge: quinto in gara 1, quarto in gara 2. Dal canto suo, Edwards, con una VTR SP-2 decisamente in palla, lotta strenuamente con Makoto Tamada e conquista una prima ed una seconda posizione. Il divario non sembra più incolmabile a questo punto.

Così almeno sembrerebbe, ed invece Monza conferma la “legge di Bayliss”, che regola Neil Hodgson e Colin Edwards. Proprio l’inglese di casa HM Plant, comincia a mostrarsi sempre più prepotentemente come terzo incomodo. Hodgson, nonostante una Ducati privata e gomme Dunlop, preme sempre di più sul duo di testa.

Colin Edwards stringe la mano a Troy Bayliss: rispetto dentro e fuori la pistaIL NUBIFRAGIO DI SILVERSTONE - La stagione è di un livello elevatissimo. Non si possono commettere errori. Si arriva a Silverstone con un Bayliss in forma, ma con un Edwards sempre pronto a vendere cara la pelle. Gara 1 si disputa sotto un diluvio d’altri tempi: la pista è letteralmente allagata, e per molti appassionati, questa rimarrà come una delle gare-capolavoro dell’australiano. Il rider Ducati si porta subito in testa, seguito da Colin Edwards, ma alla Vale scivola, costringendo lo stesso Edwards ad una divagazione sull’erba.

Gara finita? No, perché la 998 F02 rimane accesa, scatenando non poche polemiche tra gli addetti ai lavori. Bayliss si lancia all’inseguimento, ed in effetti, è un vero piacere vederlo correre: sorpassa altri piloti in maniera disarmante, quasi umiliante. Il suo best lap ( 2.05.551) è migliore di tre secondi rispetto a quello di qualunque altro pilota, ad eccezione – ovviamente – del suo più importante rivale, che riesce a girare sugli stessi tempi. Bayliss ha il podio alla sua portata quando, alla Woodcote, scivola per una seconda volta. Nonostante questo, rimonta in sella e conclude al quinto posto.

Un capolavoro di coraggio, bravura e passione per i tifosi; quattordici punti persi da Colin Edwards, vincitore, per team e pilota.Uno stop che non spaventa Troy, che anzi domina anche le tappe del Lausitzring e di Misano Adriatico.Si arriva così a Laguna Seca. L’ambiente parla già di alloro iridato per l’australiano. D’altro canto, dopo l’ennesima affermazione in gara 1, non sarebbe una chimera: Bayliss fino a quel momento aveva vinto ben 14 manche, contro le due di Edwards. Sarebbero bastati altri 25 punti, ed il contemporaneo “zero” dell’americano, per conquistare il secondo titolo iridato consecutivo.

Ma il mondo delle due ruote è in grado di offrire storie e possibilità anche dove non ce ne sarebbe la possibilità: Edwards, in sella ad una Honda VTR SP2 “Stars and Stripes”, conquista gara 2, relegando Bayliss in seconda posizione. E’ il primo duello vinto dall’americano. “Poco male”, pensarono a Borgo Panigale, “il vantaggio è di quelli importanti”.

Da quel momento però, tutti i valori in campo cambiarono radicalmente. La Honda VTR SP-2 , venne rinominata SP-W, ricevendo gli aggiornamenti dopo la 8 Ore di Suzuka – vinta dal compianto Daijiro Kato e proprio da Colin Edwards – e trasformandosi in un missile in grado di dominare la seconda parte di stagione. La pressione sale: si arriva a Brands Hatch e, durante le qualifiche,  Xaus e Bayliss, compagni di squadra, vengono a contatto sul rettilineo che porta alla curva Clarke. Un’incomprensione che costa cara all’australiano. Nonostante due costole rotte però, Bayliss si schiera stoicamente al via, conquistando un terzo ed un secondo posto. Risultati eccezionali, verrebbe da dire. Peccato solo per l’australiano che, oramai, Edwards è una macchina irrefrenabile, in grado di portare a casa la prima doppietta della stagione.

EDWARDS RIMONTA - I valori in campo sono sovvertiti, come confermato dal week-end del Sachsenring. Bayliss è costretto a gestire, a controllare. Matematicamente può ancora gestire il vantaggio, ma la situazione diventa frustrante. Edwards conquista una doppietta anche in terra teutonica, e riduce il vantaggio di altre 10 lunghezze, portandosi a soli 29 punti dalla vetta.La Superbike si trasferisce  ad Assen. Nel mezzo del terremoto che, di li a poco, avrebbe colpito il mondiale delle derivate di serie, con il ritiro ufficiale di Honda e Aprilia, e con la dipartita di Bayliss, Edwards e Haga verso la Motogp, il round olandese diventa il vero spartiacque del campionato. Gara 1 procede come da copione, con Colin Edwards primo, e Bayliss secondo, incapace di contenere il passo dell’americano, ma anzi, dovendo sudare per passare i vari Chili, Xaus ed Hodgson.

 


L’australiano sembra nervoso e contratto, ed in gara due, è autore di un fuoripista quando si trova in seconda posizione. La sua diventa una rimonta furiosa, che lo porterà ad una ingloriosa caduta e, conseguentemente, al primo zero in campionato. La rimonta di Colin Edwards è compiuta: l’americano passa in vantaggio per un solo, misero, importantissimo punto. Il campionato si decide tutto sulle rive del Santerno, ad Imola.

IL CAPOLAVORO DI IMOLA - Due manche, cinquanta punti per decretare chi, tra Edwards e Bayliss, fosse meritevole della corona di Re della Superbike. Un duello appassionante, mozzafiato, basato sulla tecnica ed il coraggio. Talmente elevato che, ogni singolo elemento contribuisce a sovvertire gli equilibri in gara. Una sorta di “butterfly effect”, come la semplice scivolata di Peter Goddard con la sua Benelli Tornado.

Solitamente, una caduta del genere, non avrebbe portato alcuna conseguenza. In questo caso però, la tre cilindri italiana aveva lasciato una scia d’olio alla variante del Tamburello. In quel momento, dopo un estenuante duello, Edwards transitava sul traguardo con sette decimi di vantaggio su Bayliss. Red Flag per poter pulire la pista. Al re-start, l’australiano da il tutto per tutto, e riesce a conquistare la prima posizione (virtuale, ma non nella somma dei tempi) con un sorpasso deciso alla Rivazza al penultimo passaggio.

E’ una corsa in cui i protagonisti sono solamente loro due. Tutti gli altri fanno semplicemente da spettatori.Sotto il traguardo Bayliss passa con due decimi di vantaggio su Edwards che, per la somma dei tempi, vince per appena mezzo secondo. L’americano conduce in campionato con 6 punti di vantaggio.La resa dei conti arriva nella seconda manche.

In Ducati sanno che, anche in caso di vittoria, Edwards con il secondo posto sarebbe campione del Mondo. Paradossalmente, il campionato passa per le mani di Ruben Xaus, in una “rivisitazione” di quel duello che infiammò proprio Imola nel 1983, con Kenny Roberts e Freddie Spencer a contendersi il titolo, e con un giovane Eddie Lawson ago della bilancia. Proprio come allora, Xaus non riuscì a tenere il passo dei due contendenti che diedero vita ad uno dei duelli più belli della storia delle derivate di serie; senza calcoli, senza troppi fronzoli, ma con cuore e passione. L’ultimo giro è da cardiopalma, con i due che affrontano la Tosa carena contro carena. A pochi metri dal traguardo, Bayliss capisce che è finita. Le braccia aperte in segno di rassegnazione, con il pubblico che applaude entrambi i piloti. La corona iridata va a Colin Edwards, ma lo spettacolo offerto rimarrà per sempre scolpito negli annali del mondiale Superbike.


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