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La Tunisia sull'orlo della guerra civile: il racconto degli enduristi italiani

In esclusiva il racconto di cinque enduristi italiani, bloccati in Tunisia

Moto - News: La Tunisia sull'orlo della guerra civile: il racconto degli enduristi italiani

Quanto sta accadendo in questi giorni per le strade della Tunisia è in tutti i telegiornali. Lo stato Mahgrebino è sull’orlo della Guerra Civile e le città sono vittime di saccheggi e devastazioni operate dalle milizie del presidente/dittatore deposto Ben Alì a cui si contrappongono le rivolte della popolazione fiancheggiate dalla Guardia Nazionale.
Non spetterebbe a noi, in questa sede, riportare i fatti, ma vogliamo dare il punto di vista degli Italiani che si sono trovati coinvolti negli scontri. Considerato che in questo periodo dell’anno, la Tunisia è mèta prediletta dei tanti Enduristi italiani che vanno in cerca di un po’ di caldo e di piste sahariane dove dar libero sfogo ai cavalli delle proprie enduro.

CINQUE AMICI E LO "STAISERENO DESERT TOUR"
Fare un po’ di sano fuoristrada lontano dai divieti che infestano il nostro paese era proprio l’obiettivo di cinque amici: Andrea Erba, Giuliano Minutillo, Fabrizio Sallemi, Paolo Bertolini e Umberto Nessenzia, che si erano diretti in Tunisia per un viaggio nel deserto. Ironia della sorte, quello che loro avevano battezzato "Staisereno Desert Tour" si è trasformato in un’impresa che poteva avere un esito ben diverso e che di "Sereno" ha avuto ben poco.
E’ proprio Andrea Erba a farsi portavoce e a chiamare in redazione per raccontare in esclusiva a OmniMoto.it la loro storia.

"Siamo partiti dall’Italia con le nostre moto, una KTM LC4, una Honda XR 400, Una Suzuki DR400Z, una BMW HP2 e la mia "Zeno Special", una R80G/S del 1984 con cui ho fatto anche l’Erzberg. Il nostro viaggio prevedeva di andare a sud per fare un po’ di piste nel Sahara e visitare paesi abbandonati. Inizialmente abbiamo fatto base a Douz, da dove siamo partiti per il deserto insieme a una guida locale. Abbiamo passato quattro notti in tenda nel deserto e fin lì è andato tutto bene, ma ad un certo punto le nostre mogli ci hanno avvisato, attraverso un telefono satellitare che avevamo con noi, che a Tunisi stavano accadendo disordini."

NON SOLO A TUNISI MA IN TUTTO IL PAESE

"A quel punto - continua Andrea - abbiamo cercato informazioni anche attraverso la nostra guida e abbiamo scoperto che i disordini non erano solo a Tunisi ma che anche a Douz, dove dovevamo rientrare, non avremmo trovato rose e fiori ad attenderci. Dovevamo restare altri due giorni e mezzo nel deserto, ma a quel punto abbiamo preferito tornare indietro per renderci conto della situazione e toglierci d’impaccio. Mentre eravamo sulla strada per Douz, abbiamo incontrato una prima colonna di camion militari e ci hanno consigliato di non entrare in città perché erano in atto scontri. La nostra guida, però, e riuscita a portarci fino in albergo seguendo stradine secondarie e siamo rimasti barricati in hotel per due giorni. Il secondo giorno siamo usciti per capire cosa stesse succedendo e ci siamo resi conto del fatto che il popolo è in rivolta contro le milizie di Ben Alì, che in quei giorni proprio a Douz avevano ucciso un Tunisino. Ci siamo sempre dichiarati turisti italiani e nessuno ci ha creato grandi problemi; nel frattempo ci giungevano i messaggi della Farnesina che consigliavano agli italiani di rientrare verso Tunisi. Le notizie da Tunisi, invece, raccontavano di scontri feroci, quindi abbiamo deciso di restare ancora un giorno a Douz, dove la situazione era più tranquilla.

IN MARCIA PER TUNISI: CITTA’ E PAESI BRUCIATI
Il giorno seguente ci siamo incamminati verso Tunisi, perché in qualche modo dovevamo raggiungere il porto per cercare di prendere la nostra nave per l’Italia. Lungo la strada ci siamo imbattuti in decine di paesi e cittadine completamente messe a ferro e fuoco dalle milizie mercenarie, un vero scenario di guerra. Decidiamo di deviare in direzione di Hammamet pensando che lì la situazione fosse più calma. Niente di tutto ciò, anche lì disordini e caos. Ci fermiamo a parlare con un convoglio della Guardia Nazionale, e lì ci consigliano di andare spediti fino al porto di Tunisi in quanto zona franca. Sono le 16:10 e dobbiamo correre perché alle 17:00 cala il coprifuoco. Più ci avviciniamo a Tunisi più vediamo che la situazione è sempre più grave: le stazioni di rifornimento sono barricate e in autostrada hanno provato più volte a fermarci mettendo dei separatori di corsia di traverso sulla carreggiata ma in qualche modo siamo riusciti a svicolare. Raggiungiamo il primo controllo di polizia e vediamo i miliziani avvicinare Fabrizio, che è molto scuro di carnagione e, credendolo un tunisino, gli puntano addosso una pistola parlando in arabo. In qualche modo Fabrizio riesce a tirare fuori il passaporto italiano e il peggio è passato.
Proseguiamo verso il porto ma sempre più gente prova a fermarci chiedendo un passaggio, ma avevamo sentito di altri turisti assaltati e derubati e tiriamo dritti senza fermarci.
Sono momenti di vera paura… 500 metri più avanti dei militari ci fermano e ci mandano via dal porto, ma svicolando per stradine secondarie in qualche modo riusciamo a raggiungere la zona portuale e un albergo.

LA FARNESINA NON CI HA AIUTATO

Il racconto di Andrea è senza sosta, come se stesse rivivendo un brutto film… "L’albergatore, davvero gentilissimo, ci aiuta a nascondere le nostre moto, che potrebbero essere molto appetibili per i miliziani. Chiusi in albergo riusciamo a renderci conto meglio della situazione generale, collegandoci a Internet e capiamo che gli attacchi e le devastazioni sono opera della milizia mercenaria al servizio di Ben Alì fronteggiata dalla rivolta del popolo appoggiata dalla Guardia Nazionale. In tutto questo cerchiamo di contattare a più riprese la Farnesina, ma l’aiuto che ci è stato dato è stato assolutamente nullo. I messaggi ci arrivavano dall’Italia con ore di ritardo divenendo inservibili e quindi ci siamo arrangiati da noi. Nel frattempo il nostro traghetto è stato prima ritardato e poi cancellato e abbiamo passato la notte in albergo".

NOTTE SOTTO GLI SPARI E SENZA MANGIARE

"Quella notte non ha dormito nessuno, in albergo non c’era più niente da mangiare e in continuo sentivamo sopra le nostre teste il rombo degli elicotteri e in strada gli spari continui. Per fortuna l’albergo era prospiciente il porto e al mattino presto abbiamo visto arrivare una nave e ci siamo fiondati alla biglietteria.

SI PAGA IN DINARI… MA LA MONETA VA GIU’
E’ qui che il racconto dei nostri amici si fa ancor più avvincente e, insieme, drammatico. Erba prosegue: "Alla biglietteria c’era una fila di circa 150 persone, e all’inizio non ci sembrava poi un problema così grosso. Subito dopo, però, scopriamo che è possibile pagare i biglietti esclusivamente in moneta locale: i Dinari. Le spese impreviste di questi giorni, però, ci avevano lasciato a corto di moneta e non venivano accettate in nessun modo né carte di credito né euro. Ci siamo messi quindi in caccia di Dinari all’interno del porto e fortunatamente un negoziante ce ne ha cambiato una buona cifra, ben contento di intascare i nostri Euro. Sì perché nel frattempo la moneta locale, con il paese sull’orlo della guerra civile, è crollata di valore. Di conseguenza, ogni ora la biglietteria della Grimaldi chiudeva per aggiornare il prezzo in Dinari, che diventava via via più caro. Nel frattempo continuavamo a chiamare la Farnesina perché lì al porto nessuno dall’ambasciata italiana veniva in nostro aiuto. Eravamo in coda dalle 9:15 del mattino e a un certo punto è circolata la voce che alla biglietteria avrebbero accettato anche gli euro, e ci siamo un po’ tranquillizzati visto che il prezzo saliva sempre più e i nostri dinari diventavano carta straccia da un minuto all’altro. C’era davvero tanta tensione, la gente in fila litigava di continuo e abbiamo avuto davvero paura di non riuscire a prendere la nave".

PER UN CA… RISCHIAMO DI PERDERE TUTTO
Finalmente è il nostro turno, sono le 14:30 e la nave parte alle 15:00. Ci staccano i biglietti e ci comunicano la cifra… Contiamo i soldi e non ce la facciamo… mi scappa un piccolo turpiloquio: "Cazzo! Non ci bastano i soldi!"… La bigliettaia mi sente e si infuria perché pensa che sia un’offesa verso di lei, prende i biglietti, li straccia e li butta nel cestino. Non sappiamo che fare, cerchiamo in tutti i modi di spiegarle che non ce l’avevamo con lei, cerchiamo di chiedere aiuto a un impiegato dell’ambasciata che nel frattempo è arrivato (quando ormai il 99% dei problemi era risolto), ma non ci ascolta. Alla fine la bigliettaia, impietosita dalle nostre scuse ci restituisce i biglietti. E lì l’unica botta di fortuna ci assiste: l’impiegata sbaglia a fare il cambio euro/dinaro e miracolosamente i nostri soldi bastano. Paghiamo, recuperiamo di corsa le moto e riusciamo a prendere la nave per il rotto della cuffia.
Dopo la partenza è il momento dei racconti di altri che hanno vissuto questa esperienza come noi e scopriamo che c’è chi ha pagato i biglietti anche il doppio di noi, ma scopriamo anche che ci sono stati una ventina di enduristi tedeschi e olandesi a cui sono state rubate le moto e due turisti polacchi che sono stati letteralmente speronati e buttati giù dalle moto.
L’ultima beffa della Grimaldi arriva però la mattina seguente
(lunedì 17 gennaio. N.d.R.) quando la nave arriva in porto a Salerno e fanno scendere tutti, mentre noi avevamo pagato fino a Civitavecchia… Poco male, ormai siamo in Italia.
Ce ne saliamo pian piano verso Roma ma l’atmosfera è davvero surreale, ne abbiamo viste talmente tante in questi giorni che continuiamo ad essere sospettosi verso tutto e continuiamo a guardarci intorno di continuo…
Ma a parte ciò vogliamo ringraziare la Guardia Nazionale tunisina, che ci ha davvero aiutato e anche gli albergatori di Douz e Tunisi per l’aiuto e la protezione che ci hanno garantito. Resta un grosso cruccio: sapere che la Farnesina non ha fatto nulla per aiutare gli Italiani in Tunisia.


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