Porta: amo Biaggi, ma anche Rossi

Il dramma di dire a Schwantz: hai vinto il mondiale. Il rapporto con Biaggi e Rossi


E’ l’inviato di Mediaset al Motomondiale dal ’92 e da allora entra nelle case di milioni di appassionati attraverso lo schermo della tivù.

Quando era bambino, lo zio appassionato di moto lo portava all’autodromo di Monza a vedere le gare; il virus della passione per le moto attecchì a tal punto che, pochi anni dopo, il piccolo Alberto Porta (Monza, 30 maggio 1957) in autodromo ci andava in bicicletta e scavalcava le recinzioni o entrava attraverso i buchi nelle reti.

A 11 anni rubava a suo fratello maggiore un Morini Corsarino del ’68 che poi ereditò e trasformò subito da moto da “sparo” a moto da cross, poi ci fu per lui un Fantic Caballero e la licenza, a 16 anni, per correre nelle prime garette da 125. Prima il liceo classico, poi la facoltà di Medicina ma le sue due passioni, il basket e le moto, lo portarono al giornalismo.

Come sei approdato su Italia 1?

"Nel 1986 Adriano Galliani, allora Vice Presidente del Monza Calcio che all’epoca giocava in serie B, mi fece avere un colloquio in Fininvest dal quale entrai a far parte della Redazione Sportiva di Grand Prix; figurati, una fregata di mani colossale! Quindi dopo tre mesi di prova e un contratto di un anno, sono stato assunto".

Ti ricordi il tuo primo servizio esterno?

"Fu la Sei giorni di Enduro a San Pellegrino, nel settembre dell’86. Dal 1987 al ‘91 ho girato il mondo facendo le telecronache in diretta del Mondiale Motocross su Capodistria. Ho fatto le Dakar ’90 e ‘91, un Rally dei Faraoni.Poi arrivarono Superbike, Formula 1 e Motomondiale. Nel ‘91 sono diventato professionista e sono inviato al Motomondiale dal ‘92".

Come si lavorava all’epoca senza i mezzi di oggi?

"Certi salti mortali! Per quelle gare non usavamo il satellite, pensa che tornavamo “a manetta” da Montecarlo o da Imola con le cassette della F1, per arrivare a Milano e montare i servizi da mandare in onda il giorno dopo".

Qual è il ricordo più bello che hai, fino ad oggi?

"I Raid africani. Farli in auto è il meglio del meglio ma anche il peggio del peggio, perché se sei con il cameraman per girare le immagini, devi partire ore prima con la jeep sul percorso, quindi di notte, aspettare tutti i concorrenti che passano e poi ripartire e anticiparli di nuovo!".

Quali erano le emergenze tecniche in queste situazioni?

"Vent’anni fa non c’era il GPS. Avevamo solo la bussola e il roadbook ma quando eravamo fuori pista al buio non ce n’era per nessuno: ci si perdeva. Adesso la Dakar è quasi un Club Mediterranee, ma all’epoca era tutto molto spartano e oltretutto non si mangiava; alla prima Dakar ho perso 7 kg in tre settimane. Però da allora non li ho più ripresi, prima ero cicciottello...".

Chissà quanti aneddoti nella tua carriera... Raccontami una cosa bella e una brutta che ricordi.

"Te ne racconto una bella e brutta insieme: 5 settembre del ’93, si fa male Wayne Rainey a Misano, gara vinta da Luca Cadalora, terzo Kevin Schwantz e noi, prima di sapere le reali condizioni di Rainey, facciamo la solita trafila di interviste; arriva la notizia che Wayne Rainey è paralizzato e non ci sono speranze, per cui in quel momento Kevin Schwantz diventa Campione del Mondo. Allora tocca prendere e andare con Gigi Soldano (storico fotografo del motomondiale che all’epoca era il cameraman di Porta, ndr), a bussare al motorhome di Kevin Schwantz. Gli dico: ”Kevin dobbiamo rifare l’intervista, sei campione del mondo”. Kevin chiaramente risponde che è il peggior modo per diventare campione ma in quel momento in cui hai unito il dramma di uno alla consacrazione dell’altro, ti senti strano. Lo sport dei motori è fatto di queste cose".

La caratteristica di te che più impressiona è la tua memoria storica. Come fai a ricordarti tutto collegando, con puntualità, gli avvenimenti durante una diretta?

"La settimana che precede un gran premio vado a ristudiarmi tutto quello che è successo, leggo le statistiche, riguardo i video delle gare passate; abbiamo un bell’archivio, Grand Prix esiste dal 1977; comunque penso di avere una bella memoria perché ciò che hai vissuto intensamente non te lo dimentichi".

Ti è mai capitato di fare una gaffe terribile o di avere un black out di memoria?

"Sì, eccome! Però in quei momenti, soprattutto in diretta, vale una sola regola, dire “non lo so” o “mi sono sbagliato”, perché cercare di coprire la gaffe peggiora la situazione. L’approccio giusto al lavoro è mantenere sempre il massimo dell’attenzione; durante la trasmissione abbiamo mille cose che ci vengono addosso, comprese le moto nel box! E poi sentire quello che stanno dicendo i telecronisti, sentire ciò che dice la gente attorno, poi il regista, il coordinatore, il produttore... Noi arriviamo ad avere fino a sei persone che ti parlano in cuffia".

Come si gestisce un’emergenza?

"Se parliamo di emergenza tecnica abbiamo personale super professionale che sistema tutto al volo senza alcun problema, per altre cose ci vuole il sangue freddo e cercare subito la via alternativa. Ti faccio un esempio: Welkom 2004, Valentino vince la sua prima gara con la Yamaha e la prima intervista immediatamente dopo l’arrivo era un evento storico. Noi avevamo la possibilità di fare una sola domanda al pilota perché c’erano tante televisioni tutte insieme ma Valentino era così sopraffatto dall’emozione che non ha detto niente: “Bello, bello, contento contento!” ed è andato via! In quel momento tutti mi urlarono in cuffia di andarlo a riacchiappare. Con calma sono andato dai capi di Dorna e ho chiesto un’intervista a Valentino infrangendo il rituale del dopo gara, cosa che ha avuto seguito perché poi si è scoperto che era il modo giusto per dare alle televisioni la possibilità di raccogliere le impressioni a caldissimo. Da allora quel momento è diventato la consuetudine e oggi è il punto di forza di “Fuorigiri (trasmissione di approfondimento al Motomondiale in onda su Italia 1 ndr)".

Com’è cambiato il Motomondiale?

"E’ cambiato il mondo ed è giusto che sia cambiato anche il Motomondiale. Tanti dicono in peggio, in realtà c’è molta più tecnologia e più facilità nel lavoro, perché quando non c’erano il telefonino, il computer, le mail, google e tutte queste cose, lavorare era molto più difficile. E’ cambiato tutto in meglio, quello che è peggiorato è la possibilità di avere rapporti umani più diretti, ma questo è così dappertutto, basta guardare la gente che va in giro per la strada con le cuffiette nelle orecchie... E’ il mondo che va così".

Come si fa ad andare sempre d’accordo con il team di lavoro?

(Ride) "Chi ha detto che andiamo d’accordo? Le divergenze ci sono ma si superano lavorando tutti sullo stesso obiettivo".

Se foste i “quattro” nani di Biancaneve, Paolone Beltramo sarebbe un po’ il Brontolo della situazione, tu sei Dotto, ...Guido Meda?

"Meda è Pisolo perché dorme sempre".

E Loris Reggiani?

"Beh, Reggio dato che era pilota... è Cordolo!".

Cosa fai nel tempo libero?

"Tempo libero? Cos’è? In inverno, specie da quando hanno diminuito i test, le notizie bisogna andarsele a cercare; questo sarà l’inverno Valentino-Ducati quindi sarà un inverno vivace".

Vuoi dirmi che Alberto Porta non va in vacanza?

"Quando posso sì, le classiche vacanze di Natale e a Pasqua. A volte vado all’estero con la famiglia, a volte in Italia nel mio rifugio, una casa sul Lago Maggiore che ho comprato".

Il lago ultimamente va di moda, nel settore moto...

"Per chi ha una vita frenetica ed è sempre in giro, il lago è l’ideale".

Cosa ne pensi della Moto2, all'epilogo del suo primo anno?

"E’ una categoria nuova e deve svilupparsi i tutti i sensi, dalla professionalità dei team, alle moto, alle gomme; ci vorrà un po’ di tempo però è molto interessante, un pilota bravo viene fuori anche guidando un “cancello”, penso che la selezione che porterà all’arrivo di nuovi talenti ci sarà comunque".

Ti piace l’idea del ritorno al 1000 nel 2012?

"Sì, spero che porti un livellamento delle prestazioni. Il problema vero è che bisogna trovare il giusto equilibrio su tutte le componenti, adesso abbiamo delle gomme così perfette che se uno non riesce a sistemare la moto e ha quel decimo che non riesce a togliere, se lo tiene, perché le gomme arrivano a fine gara ancora perfette".

Se Carmelo Ezpeleta ti chiedesse un consiglio per migliorare il Motomondiale, cosa gli risponderesti?

"Bisogna ritrovare il compromesso tra il romanticismo che c’era un tempo e la modernità di oggi. Non è detto che fossero una figata le mutande appese fuori dalle roulotte. Forse il tentativo di rendere la massima categoria del motociclismo elitaria come la F1 potrebbe essere un errore, però non dobbiamo mai dimenticare che questo è un campionato del mondo fatto di persone che devono essere preparate a tutti i livelli. Migliorerei la selezione dei protagonisti a monte".

Avrai sicuramente simpatia per qualche pilota in particolare. Come fai a riuscire ad essere imparziale?

"Certo che ho simpatie per alcuni piloti in particolare. Mi danno del biaggista e in effetti ho simpatia per Max Biaggi ma anche per Valentino, voglio bene ad entrambi e questo appare strano a tutti, infatti mi sento come se fossi l’unico ad avere un buon rapporto con loro due. I difetti dei piloti vanno rispettati ma bisogna anche farglieli capire; le litigate furibonde che ho fatto con Max Biaggi pur avendo un ottimo rapporto con lui sono storiche, con Valentino le incomprensioni si sono sempre risolte con dei chiarimenti faccia a faccia. Comunque il più simpatico è Jules Cluzel! L’”Ispettor Cluzel”, un attore incredibile, abbiamo fatto un servizio in Francia con lui che andava a cercare i pistoni scomparsi. Peccato non avere il tempo, sulle piste, di creare un rapporto un po’ con tutti, questo mi manca".

Cosa devi ancora realizzare?

"Mi piacerebbe riuscire a far crescere di più il motocross, ora che sta dominando da anni la scena con Tony Cairoli ci starebbe proprio".

Un consiglio ai giovani che sognano di diventare Alberto Porta?

"Giovani, fatevi avanti, proponetevi e venite a bussare! Sembra che vogliano stare tutti lì al computer. Il mondo va visto con gli occhi, non dentro ad uno schermo".


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