Il "trittico" Jap-Mal-Aus

Diario semiserio di un'inviata di GPone in Giappone, Malesia e Australia


Lo chiamano tutti amichevolmente “il trittico”, come si fa per le opere teatrali o artistiche, formate da tre elementi uniti a loro da un’unica cornice. Quando mi hanno chiesto di partire per il trittico, la trasferta Giappone-Malesia-Australia del Motomondiale lunga un mese, ci ho pensato su circa due decimi e ho risposto “”.

Ero stata messa in guardia sulla difficoltà di un’operazione del genere, specie se è la prima volta, specie se si è da soli, specie se non si parte dotati di tutti quegli accessori che offrono la tranquillità di lavorare (telefoni cellulari locali, vetture a nolo, connessioni internet eccetera eccetera) e specie se di sicuro verranno assegnati due titoli di Campione del Mondo, in MotoGP e Moto2, che sobbarcheranno ulteriormente la mole di lavoro già al limite, su GPone.com.

“Ho detto sì, ci vado" ho ribadito. Valigia biglietti e via.

In Giappone all’inizio ci ho capito poco. Ero ospite nell’albergo Twin Ring, che si trova all’interno dell’omonimo circuito di Motegi di proprietà della Honda.

Il Twin Ring è un albergo di lusso che incombe sul circuito nipponico dalla cima di una collina ricoperta da una folta vegetazione appannata dalla nebbia. Dalla finestra della camera da letto, il circuito di notte appare come una gigantesca astronave atterrata fra i boschi di felci e bambù. Lì le camere vengono assegnate direttamente dalla Honda ai soli piloti e semmai a qualche personaggio storico, come Carlo Pernat. Fa bene lui a chiamarlo Twin Peaks, dalla drammatica serie tv del regista David Lynch, anche se l’atmosfera che si respira è più in stile Shining.

Nel Twin Ring non vivono esseri umani ma solo piloti. Chiami l’ascensore e dalle porte escono Valentino e Uccio, lasci la chiave alla reception e ci trovi Colin Edwards, passi dalla hall e c’è Roby Rolfo che parla al telefono, fai colazione e Nicky Hayden ti fa una battuta su quello che hai messo sul vassoio; la sera, a cena, seduti sul pavimento in legno scuro trovi Dovizioso con De Rosa e Simoncelli da una parte, Bautista e Spies dall’altra, che pasteggiano rigorosamente senza scarpe. Esci dalla tua camera e vedi passare Casey e Adriana Stoner, che poi entrano nella camera accanto alla tua. Insomma, anche se sei abituata a vederli e a parlare con loro, al Twing Ring Hotel vivi una sensazione di plastica, come dentro ad un video game, o ad un reality molto particolare.

Il Giappone, fuori, non è molto diverso. La popolazione è inconcepibile alla nostra cultura, in un certo senso sembra che faccia di tutto per complicarsi la vita. L’impressione che danno i giapponesi è che vivano di regole perché senza di quelle non ci arrivano, alle cose; qualsiasi domanda cerchi di fare, anche la più banale tipo “che ore sono” o “che tempo farà domani”, loro ci pensano emettendo un sonoro mugugno mono tòno che dura diverse decine di secondi, poi si consultano tra loro in tre o quattro e alla fine della conferenza non è detto che arrivi una risposta.

In tutto ciò, meritano un capitolo a parte due oggetti “mai più senza” di cui questo popolo ha saputo dotarsi.

Il primo è il cartonato dell’auto della Polizia in scala 1:1, infrattato a tradimento sul ciglio delle strade.

La sagoma dell'auto, finta come una banconota da tre euro, monta sul tetto un lampeggiante in stile americano vero e funzionante che spicca di notte abbagliando la Luna. Sono certa che loro, i giapponesi, si spaventino ogni volta che ci incappano e rallentino per paura che la pattuglia di cartone li fermi per stilare un verbale. Noi accidentali occidentali, invece, ci fermiamo appositamente, con le lacrime agli occhi dal ridere, per fare qualche scatto al gadget stradale con la nostra digitale!

Il secondo oggetto di cui vorrei parlare mi ha appassionata moltissimo, lo ammetto: si tratta del water ipertecnologico. E qui apro una parentesi.

La prima volta l’approccio è inquietante: non lo capisci, non ne conosci l’indole e le reazioni, di conseguenza un po’ lo temi. Ma dalla seconda volta in poi sei tu che lo vai a cercare.

La consolle della strumentazione, ergonomica come il bracciolo di una poltrona per ufficio, non è così intuitiva. Per esempio il tasto STOP all'inizio non l'avevo capito. STOP di che? Mah.

Il secondo pulsante aziona un getto d'acqua (di cui puoi regolare la pressione, e ti conviene farlo subito), che arriva, diciamo, da dietro e se non stai attento invece del bidet ti fa un enteroclisma in grande stile.

Il terzo pulsante è un attrezzo per signorine, come si evince dalla figura dedicata al genere e dal colore rosa: trattasi di fontanella che arriva in centro e anche in questo caso si può regolare la pressione dell’acqua. E’ proprio una volta arrivata a questo interlocutorio step che ho finalmente compreso l’utilità del tasto STOP: in pratica lo si può usare ad intermittenza... Che dire? Sono dei geni questi giapponesi!

Ma gli effetti sciacquon-speciali non finiscono qui: il tasto Flushing Sound riproduce l’audio dello sciacquone anche senza tirare l’acqua e puoi perfino regolarne il volume. In un valter questa è una funzione fondamentale almeno quanto il traction control o l’anti spin in una MotoGP: metti che, mentre espleti, il silenzio non sia il tuo cavallo di battaglia...

Poi c'è il cruscotto dei deodoranti, aspiratori, vibromassaggiatori, riscaldamento tavoletta, insomma, non ci si annoia.

Sinceramente, vista la crisi economica, ho pensato seriamente di importare water giapponesi in Italia, ritengo che oggi il popolo italiano sia maturo per accogliere nella stanza più importante della casa un oggetto del genere, e che possa anche costituire un bel business. Oltre a convertire il voltaggio da 100 a 220 Volt, però, inserirei anche la funzione “chiusura automatica della tavoletta”, che risolverebbe in Italia circa il 60% dei contrasti nella convivenza uomo-donna. Chiusa parentesi.

Dai 15 gradi di pioggia e freddo del Giappone, il Motomondiale si trasferisce poi con un volo Tokyo-Kuala Lumpur di oltre sette ore, direttamente ai 35 gradi umidi della Malesia.

La Malesia piace a tutti, un po’ perché piace e basta, un po’ perché quest’anno è arrivata dopo il Giappone che, invece, non piace a nessuno.

In Malesia il paddock della MotoGP alloggia all’hotel Pan Pacific, a un passo tra l’aeroporto e il circuito di Sepang. Qui i piloti sguazzano allegramente in piscina e si rilassano nello shopping farlocco di China Town, a Kuala Lumpur, dove qualsiasi accessorio moda di marca è già stato riprodotto e viene venduto a poco prezzo; ci sono perfino le divise dei team del motomondiale!

Il boom del momento sono gli elicotterini, modellini di elicottero telecomandati che si sollevano perfettamente in volo, con tanto di giroscopio e luci a led. Piloti e meccanici sono impazziti per gli elicotterini e hanno gareggiato in campionati clandestini nelle pause fra prove e gare. Con un po’ di trattativa riesci a portartene via uno per una 60ina di Ringgit, circa 15 euro, incredibile! La domanda chiave nei dialoghi tra i meccanici è “Quante “ringhiate” gli hai dato per questo modello?”.

Sono proprio i meccanici, per me, i numeri uno del Motomondiale. Sono loro quelli che hanno più passione per le moto in assoluto. Parlano di marmitte, di cambio, di pinze radiali in qualsiasi occasione, che sia nell’idromassaggio della piscina, sul taxi o mentre fanno shopping; hanno la testa sempre lì, nel box, perché per loro la meccanica non è un mestiere ma un modo di essere.

A diecimila chilometri da casa si infilano dentro ad un macilento negozietto di ferramenta nei sobborghi di qualche strana periferia, si spiegano a gesti col titolare, magari trattano il prezzo ma sempre risolvono il problema sulla moto del loro pilota, che domani correrà nel mondiale.

In Malesia tutti da sempre vanno a mangiare da Modesto’s e poi a ballare al Beach, a Kuala Lumpur. Alcuni anche tutte le sere della settimana.

Mi sono sempre chiesta il motivo che spinge i piloti e il loro seguito a non cambiare mai ristoranti e locali, invece di approfittarne per conoscere posti nuovi, per spezzare la routine. Il punto è proprio questo. I piloti mi hanno spiegato che per loro, che svolgono una vita nomade, è molto importante trovare i riferimenti in giro per il mondo perché in qualche modo la loro casa è anche quella. Con Modesto, così come con Rosa a Phillip Island, loro hanno un appuntamento preciso che si rinnova di anno in anno. E’ un po’ come fare una visita ai parenti lontani una volta all’anno; non puoi cambiare.

Infine Phillip Island, l’altra parte del mondo. Un luogo magico, un’isoletta che penzola a sud del continente australiano al quale è legata dal cordone ombelicale del ponte di San Remo. E’ una riserva naturale dove tutto è alla rovescia, anche le serrature delle case e che nel mese di ottobre, quando corre il Motomondiale, è perfetta per la specie animale dei pinguini, dei canguri e delle foche, ma non degli umani.

Il vento gelido che arriva dalla Tasmania sgomita indiavolato dallo stretto di Bass e rovina sistematicamente un evento che pochi mesi dopo potrebbe essere il migliore del calendario del Motomondiale.

I marshal del favoloso tracciato sono omoni baffuti e tassellati che si lanciano al recupero dei gladiatori inzaccherati, nelle paludose vie di fuga. La pioggia rimanda di due ore i palinsesti televisivi mentre scende in campo il campionato di carling e scopettoni, a tergere l’asfalto.

A questo punto i piloti sono infreddoliti e stanchi, vogliono la mamma, vogliono tornare a casa, vogliono gli spaghetti, il caffè espresso, il cornetto, il loro letto. Un mese intero a zonzo per il mondo è troppo lungo e difficile per tutti, non solo per chi l’ha fatto per la prima volta.

Ma, detto tra noi, non è stato facile tornare e ritrovarsi faccia a faccia con il freddo, il Grande Fratello, gli scioperi, gli zii che stuprano le nipoti e poi le buttano nei pozzi, e con la politica italiana.

Quindi, per me: Trittico 1 – Tricolore 0.

E ora tutti pronti per l'Estoril.

 

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