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Giro del mondo in sella alla Ducati

Paolo è a metà strada: in Australia. Lì lo abbiamo incontrato.

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“Sono nato al confine tra Capodimonte e Santità. Forse, per questo, i confini non posso fare a meno di attraversarli”, racconta Paolo. Il cielo dell'Australia del sud promette pioggia. Ed appena può, mantiene, con scrosci improvvisi, portati dal vento.

Né alto né basso, spalle larghe. Capelli probabilmente neri, ma tagliati così corti che a malapena si intuiscono. Occhi scuri, vivaci, sempre in cerca di qualcosa o di qualcuno su cui posarsi, ma senza farlo quasi mai. Paolo Pirozzi, trent'anni, napoletano, è a metà strada di un lungo viaggio. A bordo di una Ducati Multistrada ha attraversato l'Europa, l'Asia (“tutta, fino a Vladivostock”) per poi imbarcarsi e raggiungere il Giappone. Da qui la Cina, tagliata di sbieco fino al Pakistan. Dal Pakistan all'India;  dall'India alla Malesia; dalla Malesia, all'Australia. “Da Melbourne, dove siamo, andrò fino a Sidney; poi, un po' di movimento verso nord. Quindi, America settentrionale, meridionale, Africa, Europa”. Insomma, il mondo intero, in sella ad una moto.

Da raccontare, ne ha.

“La scena si è ripetuto ogni santo giorno per diciotto giorni”. Tre volte al dì, come le medicine. “Mi presentavo con un sorriso, e chiedevo: Buongiorno, Ciro. Notizie per me?”

Ciro ascoltava in silenzio. Senza rispondere. “Un po', perché era cinese, e  - legittimamente – non capiva un acca”. E poi, perché non era mai lo stesso. “Sono entrato in Cina attraverso il porto di Tianjin, a sud di Pechino. Enorme; ho presentato i documenti  - tutti, non mancava nulla – ma mentre stavo per accelerare e passare oltre, una mano sul petto mi ha fermato. La guardia di frontiera mi hanno lasciato capire che io avrei potuto passare, ma non la moto. Perché? Mistero. Così, ogni mattina, mezzogiorno e sera (insomma, ad ogni cambio turno) mi sono presentato in dogana, a controllare se non avessero cambiato idea. Chiunque fosse di servizio, lo chiamavo Ciro: buongiorno, Ciro...”. E' stato  il Ciro del diciottesimo giorno a fargli cenno che poteva passare. Sempre che fosse riuscito a superare l'esame per la patente. Ovvio.

“Già: perché in Cina si può guidare solo con licenza cinese. Così, mi hanno assegnato un  funzionario che parlava inglese, ed abbiamo fatto ciò che si doveva fare. Il curioso, è che praticamente non l'ho mai avuta, la benedetta patente: per non perdere tempo – ormai, ero in ritardo bestia sulla tabella di marcia – superato l'esame sono partito senza; me l'hanno consegnata alla frontiera con il Pakistan, in uscita, quando ormai la Cina l'avevo attraversata tutta”.

A Napoli, Paolo ha fatto un po' tutti i mestieri. “Sarei perito meccanico, ma mi sono adattato ad ogni cosa, dall'imbianchino al consulente informatico, perché a me il lavoro serve soprattutto per pagarmi la benzina. La mia vita è viaggiare. Un lavoro che sia per sempre non è adatto a me; e le aziende fanno giustamente anche fatica ad assumermi, sapendolo”. E poi, un po’ di tempo bisogna dedicarlo anche al Club: il Ducati Dreams, di cui è presidente.

Paolo viaggia solo. Non è una lumaca; anzi, visti i chilometri percorsi ed il tempo impiegato. Però, come una lumaca, si porta dietro la casetta: una tenda che pianta dove può, per passare la notte. “Quasi sempre, con un occhio aperto ed uno chiuso. Bisogna stare attenti agli animali. E agli esseri umanii”. A volte, ci sono delle sorprese.

“Al confine tra Cina e Pakistan, non mi hanno lasciato piantare la tenda. Mi hanno indirizzato verso una costruzione un po' così: porte aperte, finestre anche. Le stanze occupate si riconoscevano subito: lucchetti giganteschi alle ante; i viaggiatori, da quelle parti, li portavano con sé. Io non ne avevo; ci ho pensato un po' su. Poi, ho deciso che, in ogni caso, dovevo dormire. E non ho nemmeno accostato la porta. Pensavo: così capiranno di avere a che fare con un tipo tranquillo. La mattina, quando mi sono svegliato, mi sono accorto subito che qualcuno era entrato: sul tavolo, c'erano un bicchiere di latte ed un pezzo di pane”.

Di tutto il lungo viaggio percorso fino ad oggi (non è il primo: ne ha già all'attivo parecchi, tra cui un Napoli-Pechino) possiede una sola foto. “Me l'ha scattata l'autovelox. Appena fuori dal deserto del Gobi. Velocità prescritta, non lo ricordo. Mi hanno fatto però capire che l'avevo superata dell'86 per cento. Mi hanno chiesto la patente. Gli ho mostrato la moto.  Poi, ho fatto un cenno di saluto. Loro hanno risposto.  Allora, ci ho provato: sono salito in sella, e mi sono allontanato piano piano”. Verso il Pakistan (“tutta la provincia sembrava allagata”) e l'India (“dove ho rischiato la pelle: diciamo che possiedono una guida creativa, ed ho dovuto più di una volta buttarmi fuori strada, per non essere travolto”).

A occhio e croce, Paolo, salutato il Motomondiale, incrociato giusato per un weekend,  dovrebbe oggi essere dalle parti di Sidney.

Chi lo voglia, può controllare: http://www.paolopirozzi.com


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