Il dramma di Shoya: la riflessione

Continuano le polemiche a quasi una settimana dal dramma di Tomizawa

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E’ trascorsa quasi una settimana ed ancora non si è quietata la polemica sulla morte di Shoya Tomizawa a Misano. A fare la voce grossa – sull’orario della morte, sul fatto che è stato egualmente dato il via alla MotoGP – sono stati principalmente i quotidiani generalisti, ma tanto si è parlato anche sui siti internet e nei blog.

In casi come questi non esistono verità uniche ed inequivocabili, ma proveremo lo stesso a dare una nostra risposta, che proprio in quanto tale, non ha alcuna pretesa di universalità.

L’ORARIO DELLA MORTE – In fin dei conti è ininfluente. Che Shoya se ne sia andato pochi minuti dopo l’incidente, e sia stato tenuto in vita dai rianimatori, o sia spirato in ambulanza, conta poco. Nel corso della nostra esperienza ci è accaduto di veder dichiarare la morte di un pilota da Claudio Costa all’uscita della Clinica Mobile, una sola volta, ad Imola nel 1983. Parliamo di Guido Paci.

Nemmeno Ayrton Senna il 1° maggio del 1994 fu dichiarato morto ad Imola, nonostante i soccorritori si siano trovati di fronte ad uno spettacolo devastante. Il brasiliano, trafitto da un braccetto della sospensione, fu evacuato in elicottero.

Noi pensiamo semplicemente che i medici soccorritori, nel loro disperato tentativo di salvare una vita, abbiamo fatto tutto il possibile ed anche l’impossibile e trovandosi di fronte ad un, pur flebile, segno di vita, abbiamo chiesto il miracolo al Creatore mandando Shoya all’ospedale di Riccione. Era una speranza disperata, ma pur sempre una speranza. E poi, di fronte alla tragica evidenza, la Dorna abbia preso il tempo necessario per informare i familiari ed accordarsi con Noboru Ueda, manager ed amico di Tomizawa.

Non vogliamo emettere sentenze ponziopilatesche, ma non troviamo in questo comportamento alcuna colpa. Se non quella di non avere, all’interno di una struttura piuttosto…strutturata, un vero capo ufficio stampa in grado di dialogare con i numerosi media. Alla Dorna (ed alla FIM) manca una procedura per la gestione delle crisi. Ma magari mancasse solo quello.

MOTOGP AL VIA – Per quanto riguarda il fatto che sia stato dato il via della MotoGP, la pensiamo come Nicky Hayden. Continuare a gareggiare è essa stessa una forma di rispetto, perché Shoya sapeva i rischi a cui andava incontro. Ad Indy è andata peggio, con nessuna informazione sulla sorte di Peter Lenz e lo champagne sul podio. Quello non andava bene. Ma a Misano (ululati di pochi idioti sotto il podio a parte) la liturgia del dolore è stata rispettata. Anche qui, è difficile colpevolizzare chi ha deciso di non informare preventivamente i piloti della tragedia. Solo in questo caso torna a contare l’effettiva ora del decesso. Ma anche se Carmelo Ezpeleta in persona lo avesse effettivamente saputo sarebbe stato giusto comunicarlo ai piloti della MotoGP per far, se mai, decidere a loro se partire o meno? Noi ne dubitiamo.

Semmai andava informato il pubblico, per dar loro il senso delle future azioni, ma un incidente, seppure tragico, fa parte della storia del nostro sport. Diverso è il discorso di tragedie come quella dello stadio Heysel, il 29 maggio del 1985, quando nonostante 39 morti e 370 feriti la partita fra Juventus e Liverpool fu egualmente giocata per motivi di ordine pubblico. Non si va allo stadio preparati, mentre quando si accede ad un circuito sul pass c’è la scritta “lo sport dei motori è pericoloso”.

Per questo, lo confessiamo, a volte proviamo imbarazzo di fronte a fin troppo plateali scenette di gioia dopo una vittoria. Ogni trionfo, infatti, significa la sconfitta della Nera Madre, alla quale comunque si deve rispetto, perché si siede in tribuna ogni volta che si spegne un semaforo.

Certo avremmo apprezzato maggiormente la presenza di Carmelo Ezpeleta in persona alla conferenza stampa conclusiva, al posto del “politburò”. In casi come questi ci vuole una faccia e moltiplicarle è un errore. Ma ancora, questa è solo la nostra opinione.


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