Può una sentenza della Cassazione, che ripete quanto già indicato in precedenza da altre decisioni della stessa Corte, sollevare un polverone mediatico? Sì, a giudicare da quanto si legge su Internet da alcuni giorni. La Cassazione ha solo ribadito che gli autovelox "a distanza" devono essere installati sulle strade scelte dal Prefetto, mentre quelli "direttamente gestiti" dagli agenti di Polizia possono essere messi ovunque. Purché (e questa è la novità di cui non parla la Corte nella sentenza 21091/2010, in quanto si riferisce a un’infrazione avvenuta col vecchio Codice della strada) ci siano cartelli che segnalano la presenza di autovelox.
NULLA DI NUOVO
Non c’è nessuna novità di rilievo. Ma solo la conferma di un vecchio orientamento della Cassazione. Peraltro condivisibile. Adesso, dopo questa sentenza, non è vero che verranno messi autovelox ovunque; non è vero che ci sarà un controllo elettronico selvaggio. Se proprio gli Enti locali intendono scatenarsi con le macchinette per fare cassa e ripianare i debiti, non hanno bisogno di fare riferimento alla più recente sentenza della Cassazione: potevano operare in quel senso anche prima.
FA AUDIENCE
Tutto il baccano attorno a questa sentenza è la prova che la parola autovelox fa sempre presa sui motori di ricerca, e che in generale suscita la curiosità morbosa dei lettori. Ma la realtà è che l’articolo 142 del Codice della Strada
, comma 6-bis, tutela il motociclista: "Le postazioni di controllo sulla rete stradale per il rilevamento della velocità devono essere preventivamente segnalate e ben visibili, ricorrendo all'impiego di cartelli o di dispositivi di segnalazione luminosi, conformemente alle norme stabilite nel regolamento di esecuzione del presente Codice. Le modalità di impiego sono stabilite con decreto del ministro dei Trasporti, di concerto con il ministro dell'Interno". Il cartello, prego: nessun autovelox a casaccio.