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Paolo Simoncelli: "alla MotoGP mancherà l'uomo Gresini, il team andrà avanti"

"Quando io volevo fare la squadra per partire, l’ha saputo e mi ha detto io voglio esserci, anche all’uno per cento. Si è comportato da socio perfetto, mi ha sempre detto: Paolo, la squadra è tua”

MotoGP: Paolo Simoncelli:

Ci sono uomini che la vita la sentono. Può essere un grande privilegio, ma anche un dolore incomparabile. Uomini come Paolo Simoncelli la vita l’hanno sentita nelle mani, sulla pelle, nel cuore. Nell’anima. “Andare avanti? La mia forza e quella della mia famiglia è non avere rimpianti. Questo ci dà una forza esagerata. Nelle giornatacce l’unico modo è dire vaffanculo, dirlo con tutta la passione che hai dentro, vaffanculo, e andare avanti. Altrimenti questa cosa ti ammazza. Ma soprattutto non bisogna avere nessun rimpianto”. Lui ha imparato a guardare soltanto avanti, da quando la vita di suo figlio Marco l'ha vista svanire davanti ai suoi occhi. Ma la vita non smette mai di tormentarci. E noi ci rivolgiamo a chi già una volta ha saputo mostrarci la strada.

Tu e Gresini eravate amici. Hai un primo ricordo di Fausto?
“Quando io volevo fare la squadra per partire. L’ha saputo e mi ha detto io voglio esserci, anche all’uno per cento. Si è comportato da socio perfetto, mi ha sempre detto: “Paolo, la squadra è tua”. Ma voleva esserci. Non ci siamo frequentati tanto, però durante i Gran Premi scherzavamo. Un rapporto molto bello”.

Cosa perde il mondo delle moto?
“Tanto. Uno che da quarant’anni vive quel mondo con passione e dedizione, da pilota è diventato uno dei team più importanti della MotoGP, anzi di tutte e tre le classi. Ma quel che mancherà è l’uomo. In un modo o nell’altro le aziende vanno avanti”.

Quando l’hai visto l’ultima volta?
“Nel viaggio di ritorno da Valencia. Mi ha offerto un passaggio sul suo volo privato. Quello è stato il mio ultimo incontro con lui. Poi ci siamo sentiti ancora al telefono”.

Ti emozioni ancora o ti sei indurito?
“No, mi emoziono molto. Sono diventato vecchio e più diventi vecchio e più diventi bambino. Nei momenti belli cerco di godermi tutto al massimo. Questa vita sembra che per un momento bello te ne faccia pagare dieci brutti. Ma forse è così per tutti”.

Ti sei mai chiesto qual è il senso di una fine?
“Spero che ci sia qualcosa, ma oltre a sperare ho avuto anche qualche certezza, qualcosa che mi è capitato. La voglia di riabbracciare Marco è talmente tanta che lo so che ci riabbracceremo”. 

Esperienze di che tipo?
“No, questo lo tengo per me”. 

Che 2021 è per te?
“Speravo che tutta questa faccenda della pandemia fosse risolta un po’ prima, invece è una bestiaccia. Penso che da luglio, forse da agosto si possa partire con una parvenza di normalità. Vivere così, in questa non programmazione, non pensare a domani, non parlare con nessuno, tutti sono dubbiosi, tutti hanno paura, è davvero stressante”. 

E a livello sportivo?
“Noi vinceremo il mondiale e siamo a posto”. (ride)

Sul serio?
“Vogliamo essere protagonisti, questo sì. Suzuki ha tutte le carte in regola per essere importante. E Fellon invece ha tutto il tempo per maturare. Quindi puntiamo a fare bene bene. Nel Cev ho altri cinque pilotini, e poi la moto elettrica con Casadei non è da sottovalutare”.

Suzuki ha capito chi è Fellon?
(ride) “Sì sì. Fellon è il Suzuki che iniziò con me, spero che abbia la stessa voglia, la stessa volontà. E’ molto tosto, ma ci sono cose che nessuno gli ha insegnato, è un po’ grezzo, dobbiamo fare un buon lavoro”. 

Quanto è difficile portare avanti un team con questa situazione?
“E’ difficile, tanto. A parte che ormai è un lavoro tutto l’anno. Prima iniziavi a gennaio-febbraio e finivi a novembre. Una volta c’era la famiglia, il tempo libero, adesso è tutto diverso. Non c’è più il babbo che arriva con il carretto attaccato alla macchina, e vai a fare una corsa o il mondiale. No, adesso il team di Moto3 è un’altra cosa. E se la pandemia se non si risolve è difficilmente recuperabile”.

Ha perso il fascino?
“No, il fascino c’è sempre, e poi la tv adesso è spettacolare, non si vedevano gare così e non erano così seguite. Il problema rimane sempre un problema economico, che condiziona tutto”.

Tu hai a che fare con tanti giovani, come è cambiata la generazione?
“E’ difficile da dire. Anche i piloti si dividono in categorie, chi vive per diventare il campione del mondo, chi è qui per passare il tempo, chi perché non ha il budget per il mondiale. Ogni pilota ha una storia, ma molti ragazzi non possono dimostrare chi sono”.

Uno sport crudele?
“Un cambio di gomme costa tot euro, pensa a una media di dieci giri… E’ crudele per tutti”.

La pandemia che cosa ti ha insegnato?
“Niente. Mi porta via del tempo, mi castra, non va bene, alla mia età ho bisogno di godermi tutto, anche i minuti”.

Hai paura o ti sei abituato?
“Cerco di stare attento, ma non ci puoi fare niente, è tutto segnato. Ci sono delle cose, le coincidenze. Quello che preso il masso sul posto di guida l’hai sentito? Poteva finire sul baule o da un’altra parte. Invece no. Marco è morto perché la ruota l’ha preso di striscio nel casco. A volte ci sono cose che ti lasciano pensare che non poteva essere diversamente. Quindi stiamo attenti, facciamo del nostro meglio”.

Tu hai perso anche due cugini.
“A uno ero legatissimo, Sergio. E’ successo a marzo scorso. Il secondo se n’è andato qualche giorno fa, più vecchio di me. Ma è davvero qualcosa di orribile”.

 

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