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MotoGP, Marquez vittima dell'epica delle moto: da pilota a supereroe

Marc dovrebbe correre o fermarsi? Non basta più che un campione dia spettacolo, deve tentare l'impossibile ma solo nei fumetti è possibile vincere sempre

MotoGP: Marquez vittima dell'epica delle moto: da pilota a supereroe

L’epica dello sport ha bisogno di eroi e gli eroi, si sa, si vedono nelle difficoltà. L’impresa impossibile è quella che serve per assurgerli nell’Olimpo, Ercole aveva la sua idra da affrontare, i piloti hanno la fragilità del corpo. Marc Marquez non ha nulla da dimostrare, ha battuto quasi tutti i record disponibili (e per quelli che gli restano probabilmente sarà solo questione di tempo), ha stracciato gli avversari sul campo, ha riempito la casa di trofei. Se proprio gli si vuole trovare una lacuna, non era mai stato protagonista di un rientro lampo. Ora lo farà, come altri prima di lui, a Jerez.

Questo aumenterà in qualche modo la sua grandezza? Pensiamo di no. Un pilota non si misura con la sua sopportazione al dolore e anzi il desiderio di ogni appassionato dovrebbe essere quello che nessuno dovrebbe avere la sfortuna (perché è di questo che si tratta) di doversi mettere alla prova su questo campo.

Il giornalista Simon Patterson ha sintetizzato con un frase felice quello che ci passa per la testa da ieri: la questione non è se Marquez possa o non possa correre, ma se debba o non debba correre.

Magari si fa un passettino verso la filosofia allontanandosi dallo sport per rispondere, ma non ci sono particolari controindicazioni nel provarci.

Il punto di partenza è che Marquez non ha nulla da dimostrare, se anche domani decidesse di ritirarsi in un’ ipotetica isola sperduta dei Caraibi dove guidare una moto è illegale, rimarrebbe sempre uno dei piloti che hanno scritto la storia del motociclismo.

Però vuole correre, anche con placca nel braccio inserita da pochi giorni e senza sapere quali siano le sue condizioni. Il suo pensiero è assolutamente comprensibile: è un pilota, vuole mettersi alla prova, scoprire i suoi limiti come quelli della moto, non lasciare nulla di intentato. Se non la pensasse così, passerebbe le domeniche con il découpage e non andando a 300 e più allora.

La volontà di correre è sua ma la decisione no, è dei medici. Sono loro a dovere valutare che non metta a rischio non solo la propria incolumità, ma anche quella di tutti gli altri piloti. Perché le corse sono pericolose e quelle di MotoGP non si fanno da soli, contro il cronometro, ma insieme agli avversari. Il minimo è che (al netto degli errori umani) si sappia di condividere la pista con chi ha la capacità (anche fisica) di non mettere a rischio l’incolumità di nessuno.

Diamo la piena fiducia ai dottori del circuito di Jerez e di tutti quelli che lavorano nel motomondiale, quindi diamo per scontato che i test fatti oggi sia assolutamente sufficienti a garantire che Marquez (come anche Crutchlow e Rins) possano guidare in tutta sicurezza, per sé e per gli altri.

Ma, in verità, non è e non può essere così. Tanto che sia Marc, sia Cal, sia Alex hanno detto che solo una volta in moto capiranno se potranno continuare o meno. Perché la differenza fra una visita al centro medico e 25 giri su una MotoGP con 40° gradi è lampante anche per chi non distingue un femore da una costola.

Cosa sarebbe successo, però, se quei medici avessero fermato i piloti? Ci sarebbe stata una sollevazione popolare. Oltre al fatto che mediaticamente l’impresa (possibile) di Marquez ha un valore che una sua ‘semplice’ vittoria non ha più.

Eppure, il pensiero che Marquez venga semplicemente abbandonato al suo destino (per quanto lui ne sia consapevole) rimane. E con lui gli altri piloti.

Come se non bastasse che questi ragazzi diano spettacolo in equilibrio precario e velocità folli, che rischino in continuazione ogni volta che mettono la prima, che spostino il limite più in là ogni giorno. Si vuole farne dei supereroi, dimenticando che questi non esistono. Sono sono frutto della penna e dell’immaginazione. Gli uomini non volano, non sollevano un carro armato con una mano e non respingono i proiettili con il petto. Soprattutto, quando si fanno male, non basta voltare pagina per ritrovarli in piena forma.

Perché l’epica ha le sue regole, ma è un genere letterario e come tale non esiste nella realtà.

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