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MotoGP, TECNICA – Aerodinamica, i principi che influenzano prestazioni e dinamica

La progettazione: dal calcolo della forza di resistenza all’analisi sulla stabilità laterale. Deportanza ed il contributo delle “alette”. L’evoluzione dei test dalla galleria del vento alla simulazione computerizzata “CFD"

MotoGP: TECNICA – Aerodinamica, i principi che influenzano prestazioni e dinamica

Di Stefano Aglianò

Oltre alla massa e alla resistenza al rotolamento degli pneumatici, l’altro principale fattore che si oppone all’avanzamento del veicolo è rappresentato dalla resistenza aerodinamica. Le dimensioni e la forma di un veicolo, investito da un flusso d’aria, sono i parametri più importanti di cui occorre tener conto in fase di progettazione aerodinamica. Nel caso di una motocicletta ci sono diversi fattori che influenzano notevolmente tale aspetto come la carenatura (o la sua assenza), il parabrezza, gli specchietti, gli indicatori di direzione, ecc. A questi elementi meccanici, si aggiunge il pilota con la sua sagoma e con la posizione che assume in sella. Le innumerevoli variabili da analizzare, alcune delle quali non sono né completamente prevedibili né controllabili, vanno ad aggiungersi alla già complessa trattazione. Rispetto ad un veicolo intrinsecamente stabile, come un’autovettura, la motocicletta essendo di per sé instabile risente maggiormente degli effetti del vento in quanto la presenza dell’angolo di rollio, dell’avancorsa, dell’effetto giroscopico, dell’angolo di sterzata e dei loro effetti sulla dinamica di guida, complicano l’analisi dei fenomeni fisici. Per una trattazione esauriente sull’argomento si invita il lettore a consultare testi specializzati presenti in letteratura. In questo articolo ci si soffermerà sugli aspetti chiave analizzando i principi fisici di base.

Le forze in gioco: l’applicazione e l’influenza sulle massime prestazioni

I fenomeni aerodinamici interagiscono con il veicolo lungo la terna (assi x,y,z) che rappresenta le coordinate spaziali. Lungo i tre assi sono applicate altrettante forze ed i rispettivi momenti che generano una rotazione attorno agli stessi. Lungo l’asse x –orizzontale - agisce la forza di resistenza (drag force) che si oppone alla velocità di avanzamento. Attorno a questo asse si genera il momento di rollio. Lungo l’asse y –verticale- si genera la forza di portanza (lift force), analogamente a quanto succede per gli aerei, che tende a far sollevare il motociclo dal suolo. Attorno a questo asse si genera il momento di imbardata. Infine lungo il terzo asse z –trasversale- agisce una spinta aerodinamica laterale, tipica azione del vento, che tende a far deviare il veicolo dal moto rettilineo. Il momento attorno all’asse z è quello di beccheggio.

La forza di resistenza aerodinamica ha la seguente forma: F = ½*ρ*C*A*V2 (ρ=densità dell’aria, C=coefficiente di resistenza aerodinamica, A=sezione trasversale del veicolo, V=velocità di avanzamento). Il coefficiente aerodinamico dipende dalla forma della motocicletta (ad esempio se carenata o naked), dalla posizione in sella del pilota ed in generale da tutti quei fattori che influenzano, positivamente o negativamente, il profilo aerodinamico (specchietti, ali, feritoie, bauletti ecc). E’ corretto analizzare il coefficiente congiuntamente alla sezione resistente A, ossia alla superficie d’impatto frontale che il mezzo offre all’aria. Un profilo opportunamente progettato, ossia con una elevata efficienza aerodinamica, può comunque esercitare una elevata resistenza all’avanzamento. In altri termini per confrontare l’efficienza aerodinamica di due mezzi, a parità di condizioni ambientali, occorre tener conto del prodotto C*A e non solo del coefficiente. Interessante sottolineare la dipendenza quadratica della forza dalla velocità che esprime quanto rapidamente cresca la resistenza aerodinamica all’aumentare della velocità. La situazione peggiora ulteriormente se si analizza la potenza spesa dal motore per vincere la resistenza dell’aria. La relazione si trasforma da quadratica a cubica. Per rendere meglio l’idea si consideri una moto che a 100 km/h assorbe dal motore (per vincere la resistenza aerodinamica) una potenza di 30 kW, a 150 km/h occorrerebbero circa 100 kW.

Forza di resistenza all’avanzamento. Viscosità, vortici ed effetto scia

La forza di resistenza che si oppone all’avanzamento rappresenta, come visto in precedenza, uno dei fattori di maggior dispersione della massima potenza esprimibile dal motore. Dal punto di vista aerodinamico, ciò che fa rallentare la moto, è la viscosità. Questa grandezza fisica rappresenta la resistenza del fluido allo scorrimento. In altri termini rappresenta l’attrito tra le molecole ed esprime la maggior o minor tendenza di scorrimento di uno strato di fluido rispetto a quello adiacente. Senza entrare troppo nello specifico del Teorema di Bernoulli basti sapere che l’attrito genera delle differenze di velocità della vena fluida e quindi di pressione, lungo tutto il profilo della moto, con la conseguente resistenza all’avanzamento. Per render ancor meglio l’idea, una moto lanciata ad una velocità costante e immersa in un fluido ideale con viscosità nulla non sarebbe rallentata da fattori d’attrito aerodinamici analogamente a quanto accadrebbe ad una gomma che ruota su un piano privo di attrito (meccanico).   

Immaginando il flusso d’aria composto da diversi strati sovrapposti, si avrà che quelli adiacenti al veicolo sono fortemente influenzati dalla forma e dalla velocità dello stesso, mentre quelli più lontani lo sono sempre meno fino ad arrivare nuovamente alla condizione di flusso indisturbato che caratterizza l’aria circostante. La zona tra la superficie del corpo ed il fluido indisturbato è definita come strato limite. Esso è molto importante per studiare l’aerodinamicità di un veicolo in quanto la zona è caratterizza da un forte gradiente di velocità e quindi di pressione che generano la resistenza a causa dell’elevata viscosità ed attriti in gioco. Lo spessore dello strato limite misura di quanto occorre spostare il flusso dalla superficie di contatto affinché venga ristabilita la condizione di velocità imperturbata. Con bassi gradienti di velocità in gioco e se il flusso d’aria riesce a copiare il profilo del corpo, gli strati scorreranno l’uno su l’altro in modo “ordinato” e questo è definito moto laminare. All’aumentare della velocità il fluido non riesce più a scorrere in maniera pulita ma i vari strati si rimescolano tra loro dando origini a vortici. Questa condizione, tipica del moto turbolento, crea scie vorticose e separazione prematura della vena fluida con conseguente aumento della resistenza aerodinamica. Durante il fluire della motocicletta nell’aria coesisteranno moti sia turbolenti che laminari in base a come il flusso d’aria impatta la superficie del veicolo. In generale l’aria nel punto di contatto con la parte frontale della carena tende a copiare il profilo. Man mano che viene investita dall’aria anche la restante parte della moto, il flusso non è più in grado di seguire la geometria a causa delle forti variazioni di sezione trasversale. Si innesca un aumento dello spessore dello strato limite con prematuro distacco della vena fluida e con il generarsi di scie vorticose. La pressione all’interno della scia è minore di quella atmosferica ed è per questo che i piloti tendono, in rettilineo, a mettersi “a ruota” dell’avversario che lo precede per sfruttare tale fenomeno fisico e raggiungere delle velocità maggiori che permettono il sorpasso. L’ampiezza della scia generata è proporzionale alla resistenza che si oppone all’avanzamento. Come detto la viscosità genera variazioni della distribuzione di pressione lungo il profilo della moto, la risultante di questi componenti è quello che crea i vari effetti aerodinamici. Per ottimizzare i flussi si ricerca una geometria che consenta di ridurre lo spessore dello strato limite e che sposti il distacco della vena fluida verso la parte finale del veicolo. Ancor meglio se ciò avviene lontano dal profilo del veicolo sfruttando ad esempio la “coda tronca”. Questi accorgimenti consentono di ridurre anche il fenomeno della scia. Per ottenere questi risultati occorre evitare brusche variazioni della sezione trasversale ed utilizzare forme affusolate (tipica forma a goccia) che consentano al flusso d’aria di copiare il profilo senza generare indesiderati vortici.

Aria fresca: alimentazione e raffreddamento del motore

Un ulteriore parametro da considerare in fase di progettazione è la necessità di ottenere aria fresca per alimentare il motore. Questo avviene tramite delle apertura o feritoie sulla carenatura della moto che ovviamente “sporcano” il flusso aerodinamico facendo aumentare la resistenza. L’altro lato della medaglia offre la possibilità di sfruttare la maggior quantità d’aria aspirata e convogliata nei condotti per generare una sorta di sovra alimentazione del motore. Questi effetti sono tangibili ad elevate velocità, ragion per cui trova maggiore applicazione nelle moto super-sportive. Il flusso d’aria fresco è necessario anche per il raffreddamento del motore. Se un propulsore è raffreddato ad aria lascia poco margine di inventiva ai progettisti. Diverso il caso del raffreddamento a liquido in cui, oltre alla canonica posizione centrale del radiatore dietro la ruota anteriore, si possono studiare soluzioni alternative.

Portanza vs deportanza. Il contributo delle “alette”, fisse e mobili, in curva ed in rettilineo

L’interazione della moto con l’aria genera, attraverso variazioni di velocità e pressione, una portanza che tende a sollevare entrambe le ruote dal suolo. Ovviamente è un comportamento pericoloso che limita il carico dinamico con conseguente diminuzione di grip. Oltre a questo c’è un ulteriore effetto, negativo, da considerare. Le forze aerodinamiche sono applicate in un punto detto centro di pressione che non corrisponde con il baricentro. Per le moto il centro di pressione è solitamente posto più in alto del baricentro e questo genera un momento di beccheggio che tende a sollevare la ruota anteriore con la pericolosa perdita di direzionalità. Un rimedio è lo studio di carenature che tendono a minimizzare il coefficiente di portanza e le superfici in gioco. Ipotizzando idealmente di riuscire ad ottenere una forma aerodinamica che azzeri la portanza, sussisterà sempre il fenomeno della tendenza all’impennamento causata dalla drag force. Un ausilio viene offerto dai profili aerodinamici posti sulle carenature: le tanto discusse “alette”. Queste infatti, opportunamente studiate, riescono a generare deportanza aiutando la moto a rimanere a contatto con l’asfalto. Le ali sono ampiamente diffuse nel mondo auto, coadiuvate dall’effetto suolo creato dal fondo scocca carenato, consentano alle autovetture di percorrere le curve a velocità molto elevate. Per rendere giustizia all’importanza dell’extra grip aerodinamico, un’ipotetica curva percorsa a 100 km/h porta la macchina fuoripista, in quanto a velocità basse predomina il grip meccanico offerto dalle gomme. La medesima macchina invece potrebbe riuscire a percorrere la stessa curva ad una velocità maggiore in quanto l’entrata in gioco dell’effetto aerodinamico garantisce un grip aggiuntivo che permette di seguire la traiettoria impostata. Lo stesso concetto non è così facilmente traslabile e applicabile alle moto. Le due ruote si inclinano per percorrere una curva quindi le alette, fisse e solidali alla carena, generano una spinta aerodinamica lungo la retta che congiunge il baricentro con il punto di contatto con l’asfalto. Questa genera un aumento sia della componente verticale che orizzontale (rappresentate in verde nelle figure seguenti). I due effetti si bilanciano tra loro e quindi il maggior carico sullo pneumatico viene contrastato dall’aumento della forza centrifuga. Teoricamente si potrebbe aggirare il problema tramite l’utilizzo di profili mobili che rimangono sempre paralleli al terreno, indipendentemente dall’angolo di piega, consentendo di percorrere la curva con un minor angolo di rollio. In questo caso la spinta aerodinamica sarebbe completamente verticale andando ad aumentare solo il carico sulla ruota. In MotoGp le alette mobili non sono consentite dal regolamento per cui le appendici, fisse, restituiscono i loro massimi benefici in rettilineo. In accelerazione contrastando l’impennamento ed in frenata garantendo maggior stabilità.     

La stabilità laterale e l’importanza della posizione del centro di pressione rispetto agli elementi perturbativi

Si analizza infine la forza aerodinamica lungo l’asse - y - che rispecchia la situazione tipica della presenza del vento laterale. Come visto nell’analisi della portanza anche in questo caso gioca un ruolo fondamentale la posizione del centro di pressione e la sua distanza dal baricentro. Se il centro di pressione si trova spostato verso il retrotreno rispetto al baricentro, l’azione del vento laterale crea un momento di imbardata che si oppone alla direzione della spinta aerodinamica. In altri termini si ha un comportamento autostabilizzante. Viceversa se il centro di pressione si trova davanti al baricentro, la moto tenderà a muoversi in direzione della corrente costringendo il pilota ad una azione correttiva sullo sterzo. Purtroppo la seconda condizione, di per sé instabile, è quella che si riscontra comunemente in quanto la parte anteriore della moto avendo una maggior superficie esposta all’aria rispetto al retrotreno, sposta verso l’anteriore il centro di pressione. Per ridurre la superficie esposta all’aria, in alcune piste particolarmente ventose, si utilizzano carenature forate nella zona anteriore. Questo stratagemma era particolarmente usato nelle moto di piccola cilindrata due tempi da GP a causa del loro peso molto contenuto. Una ulteriore osservazione può essere fatta sulla posizione verticale del centro di pressione rispetto al suolo. Per contrastare la spinta laterale del vento, applicata nel centro di pressione, la moto dovrà inclinarsi di un certo angolo di rollio spostando il peso in direzione opposta alla spinta. La moto risulterà in equilibrio quando questi due effetti contrastanti si equivalgono. Più è basso il centro di pressione minore sarà il momento generato dalla spinta aerodinamica per cui sarà richiesto un angolo di piega più piccolo. L’analisi della stabilità laterale è molto complessa specialmente se si introducono altre variabili come raffiche di vento non uniformi, la presenza di scie vorticose generate da altri mezzi o l’interazione del flusso d’aria con ostacoli fissi quali alberi, muri e palazzi. In generale però si può riscontrare che un centro di pressione basso ed arretrato tende ad aumentare la stabilità della moto. Da un punto di vista teorico, che non tiene conto degli altri effetti negativi, un mezzo pesante e con un’elevata inerzia mitiga gli effetti aerodinamici perturbativi.

Pro e contro della galleria del vento. Analisi CFD come strumento di lavoro alternativo

Uno degli strumenti più efficaci per studiare gli effetti aerodinamici è l’utilizzo della galleria del vento grazie al quale si possono apprezzare le diverse zone di pressione, i vortici e le linee di flusso a diverse velocità. Questo consente di identificare le aree più critiche ove intervenire. Come facilmente intuibile si tratta di un approccio particolarmente dispendioso in termini di tempo e costo. Un approccio alternativo potrebbe essere quello dell’utilizzo di modelli in scala che necessitano quindi di strutture di dimensioni ridotte. Questo si scontra con due limiti. Il primo dovuto al problema dell’accuratezza dei risultati. Ogni tolleranza del modello viene moltiplicata “n” volte nella realtà. Il secondo è dovuto alla dipendenza diretta tra le dimensioni del modello e la velocità, espressa attraverso il numero di Reynolds. In altri termini si considerino due corpi con forma identica ma con dimensioni differenti. Ipotizzando che uno sia la metà dell’altro, per mantenere lo stesso numero di Reynolds (che identifica l’andamento del flusso aerodinamico) occorre raddoppiare la velocità. Applicando il concetto ad un modello in scala 1:5 è necessario un flusso d’aria di 1000 km/h per confrontarlo omogeneamente con una moto reale che viaggia a 200km/h. Vale la pena sottolineare che sotto queste ipotesi si è raggiunta la velocità transonica ossia molto vicina alla velocità del suono. Le ovvie problematiche che tali velocità comportano, unite alle enormi potenze in gioco richieste, rendono non così semplice l’utilizzo di gallerie del vento in scala. Negli ultimi decenni il repentino aumento della potenza di calcolo dei computer e lo sviluppo di software di simulazione sempre più accurati, nel replicare fenomeni reali, permettono di sostituire, almeno parzialmente, le ore di lavoro trascorse in galleria del vento. Tramite l’analisi CFD - Computational Fluid Dynamics - la motocicletta viene disegnata e successivamente discretizzata in un elevato numero di piccole forme geometriche (celle che formano la “mesh”). Dopo l’applicazione del modello fisico che descrive il problema si applicano le condizioni al contorno (ad es. la velocità del veicolo). Il computer, tramite dei modelli matematici, esegue il calcolo e restituisce i risultati ricercati. Il maggior vantaggio di questo metodo è il risparmio di tempo e denaro e la replicabilità degli esperimenti andando a modificare solo il componente oggetto di studio riuscendo a capire quale direzione intraprendere, quali soluzioni scartare, velocizzando le successive fasi di test in galleria del vento ed in pista.

 

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