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MotoGP, TECNICA – Tra scienza e arte: svelati tutti i misteri della frenata

Cosa succede quando si tira la leva del freno? Come e quando si usano anteriore e posteriore? La guida per diventare uno staccatore perfetto

MotoGP: TECNICA – Tra scienza e arte: svelati tutti i misteri della frenata

Di Stefano Aglianò

Marquez, Rossi e Dovizioso si alternano spesso sul podio dei migliori “staccatori” secondo i dati rilasciati da Brembo, azienda italiana leader nella fornitura di impianti frenanti nel motomondiale e non solo. Approfondiamo cosa si cela dietro il gesto tecnico della frenata (in gergo staccata) che, se eseguito alla perfezione, riesce a far guadagnare tempo prezioso in un giro di pista o a regalare in gara splendidi sorpassi magari con il posteriore della moto che galleggia ad una spanna dall’asfalto.

Dalla teoria alla pratica…

Ritorniamo con i piedi per terra, o meglio con le ruote sull’asfalto, ed analizziamo da un punta di vista tecnico i fenomeni fisici che interessano il motociclo durante la fase di decelerazione. Il primo principio della dinamica (I legge di Newton) asserisce che “un corpo rimane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché non interviene una forza a modificare tale stato”. Ossia, tralasciando il caso poco interessante in cui è fermo, un corpo caratterizzato da una velocità di avanzamento costante continuerebbe a procedere alla medesima velocità se non intervenissero altre forze (resistenti) che ne rallentino il moto.

Le più rilevanti sono: freno motore, attriti degli organi meccanici, resistenza aerodinamica all’avanzamento e resistenza al rotolamento degli pneumatici. Proprio quest’ultima permette di rallentare il veicolo. L’ azione del pilota sulla del leva del freno genera un aumento della pressione interna al circuito idraulico che permette ai pistoncini della pinza freno di spingere il materiale frenante (“pastiglie”) contro il disco freno. Il contatto pastiglie-disco tenderebbe a bloccare la ruota, essendo quest’ultima solidale al disco, ma l’attrito presente nel punto di contatto tra asfalto e pneumatico fa sì che continui a rotolare (entro certi limiti) generando una forza opposta all’avanzamento che consente di far rallentare la moto.

… e viceversa. Perché il freno anteriore è più efficace?

Empiricamente chiunque abbia mai guidato una moto o un qualsiasi altro veicolo con i comandi freno differenziati tra anteriore e posteriore ha potuto constatare facilmente la maggior efficacia del primo. Spingendo una bicicletta a mano e azionando con decisione il freno anteriore questa si arresterà quasi istantaneamente e tenderà al ribaltamento in avanti. Azionando solo il freno posteriore, la relativa ruota tenderà al bloccaggio e con discreta facilità si riesce ancora a spingerla in avanti. 

Analizziamo il fenomeno anche da un punto di vista scientifico. Mentre la moto sta procedendo a velocità costante il suo peso è ripartito sui due assi proporzionalmente alla posizione del baricentro rispetto all’interasse. Quindi se il baricentro si trova perfettamente a metà tra la distanza dei due assi il peso sarà ripartito equamente, viceversa sarà sbilanciato verso uno dei due. Indipendentemente dalla posizione del baricentro quando si inizia a frenare si ha un trasferimento di carico sull’anteriore (che si andrà a sommare al carico statico dettato dalla posizione del baricentro) con conseguente perdita di carico sull’asse posteriore. Applicando le equazioni di equilibrio delle forze e dei momenti con polo nel baricentro si ottiene che la medesima quota parte di carico aggiunta all’anteriore è sottratta al posteriore. Questo fa sì che la forza frenante si ripartisca in maniera asimmetrica sui due assi, come detto a favore dell’anteriore.

E’ bene ricordare il principio fisico per cui aumentando il carico verticale applicato al punto di contatto aumenta la forza d’attrito. Ecco spiegato perché la ruota anteriore, avendo maggior carico, riesce ad esprimere una maggior forza frenante. Interessante osservare che il trasferimento di carico aumenti all’incrementare della forza frenante totale e dell’altezza del baricentro dal suolo, mentre diminuisca all’aumentare dell’interasse. Il limite, affinché si eviti lo slittamento delle ruote, è imposto dal coefficiente d’attrito gomma-asfalto. Questo moltiplicato per il carico dinamico (rappresentato dal quello statico più o meno il trasferimento di carico) esprime la massima forza frenante applicabile sulla singola ruota. Oltre si arriva all’indesiderato bloccaggio.

Condizione limite: il ribaltamento

Altro fenomeno indesiderato è ovviamente il ribaltamento. La condizione limite, posizione di equilibrio instabile, si ha quando la ruota posteriore non tocca terra e quindi tutto il peso della motocicletta grava sulla sola ruota anteriore. Applicando la condizione di carico posteriore nullo all’equazione di equilibrio dei momenti rispetto al baricentro si nota che la massima forza frenante applicabile, da non oltrepassare per evitare il ribaltamento, dipende dalla massa del veicolo e dalla posizione del baricentro (sia verticale che longitudinale).

Sul primo fattore si può intervenire solo in fase progettuale mentre per modificare il secondo i piloti durante le frenate tendono a spostarsi indietro con il corpo arretrando di fatto il baricentro. Utile sarebbe anche abbassare il baricentro ma c’è il vincolo imposto dalla sella. Un esempio a riguardo può invece essere colto dal mondo delle MTB dove grazie all’ausilio del reggisella telescopico i ciclisti possono abbassare la sella prima di una ripida discesa. Questo permette loro di avere sufficiente spazio per arretrare ed abbassarsi, spostando il corpo oltre la sella verso la ruota posteriore, riuscendo così a contrastare il fenomeno del ribaltamento.

La ripartizione ideale

La ripartizione ideale della frenata non è fissa ma dipende dal coefficiente d’attrito che, se è molto elevato, consente di ottenere il 90% della forza frenante totale dall’anteriore, mentre su strade scivolose, come ad esempio in caso di asfalto bagnato, il contributo del freno posteriore può crescere fino a raggiungere il 40%. Le prestazioni massime di frenata si ottengono con l’utilizzo congiunto di entrambi i freni avendo l’accortezza di modularli in funzione della condizione dell’asfalto.

Molte case motociclistiche offrono per i loro mezzi, specialmente quelli votati al commuting cittadino piuttosto che al turismo, un sistema di frenata combinata che consente di azionare con una sola leva i freni su entrambi gli assi. Se la ripartizione è fissa e non varia al mutare delle condizioni dell’asfalto, i progettisti sono costretti ad adottare una soluzione di compromesso tra la massima prestazione frenante e la sicurezza per evitare indesiderati slittamenti e bloccaggi delle ruote. Le moto sportive sono generalmente sprovviste di tale ausilio alla guida demandando completamente al pilota la ripartizione della forza frenante sia per ottenere la massima performance sia perché in circuito in alcune fasi concitate della guida uno slittamento, voluto e controllato, dello pneumatico può essere proficuo.

Il freno posteriore e la sua utilità

Come ripartire la frenata introduce il tanto discusso utilizzo del freno posteriore, spesso bistrattato e dimenticato da una buona parte dei motociclisti per svariati motivi, più o meno veritieri, quali inutilità, scarsa efficacia, scomodità di azionamento, poca sensibilità ecc. In caso di moto rettilineo, di asfalto asciutto e di ottimo grip il contributo offerto dal freno posteriore è, come detto nel precedente paragrafo, trascurabile, mentre diminuendo l’aderenza tra asfalto e pneumatico l’importanza del freno posteriore aumenta fino ad arrivare ad essere fondamentale in caso di un basso coefficiente d’ attrito.

Al di là del contributo nelle situazioni più critiche, il freno posteriore garantisce un effetto stabilizzante particolarmente utile nella fase di ingresso in curva. Quando si è in procinto di percorrere una curva, non è quindi più rispettata la condizione di moto rettilineo, l’effetto combinato del coricamento laterale (moto “in piega” con spostamento del baricentro verso l’interno della curva) e della rotazione del manubrio fanno sì che la forza inerziale di decelerazione (la stessa che ci proietta in avanti quando freniamo) e la forza frenante anteriore, non appartengano più al piano di simmetria verticale della moto perpendicolare all’asfalto.

Questo fenomeno genera una coppia di forze che tende a far imbardare il posteriore della moto verso l’interno della curva. Inoltre, come già visto, si genera un trasferimento di carico dal posteriore all’anteriore. In altre parole se nella fase di inserimento in curva si esagera con l’azione del solo freno anteriore, la parte posteriore della moto tenderà a sollevarsi e a ruotare verso l’interno della curva, generando una possibile perdita di controllo del mezzo. In questo frangente di guida risulta molto utile l’uso del freno posteriore che genera una forza in verso opposto a quella inerziale così da produrre un effetto stabilizzante in quanto tende a far diminuire l’angolo di imbardata. E’ come se la parte posteriore della moto venisse tirata con una fune in verso opposto a quella di marcia, intuitivamente se il posteriore tende a curvare verso l’interno della curva l’azione della fune funge da ausilio per riposizionarla in asse. Infatti è una tecnica di guida comunemente usata, nel caso in cui si arrivi leggermente “lunghi” in curva o fuori traiettoria, aiutarsi con il freno posteriore per chiudere la curva e riprendere la traiettoria desiderata. Al contrario insistere oltre modo con il freno anteriore accentuerebbe il problema facendo allargare ancora di più la traiettoria.

Nella trattazione sono state applicate delle ipotesi semplificative (coefficiente d’attrito costante e assenza di resistenza aerodinamica) per una maggiore fluidità di trattazione. Tali ipotesi influiscono principalmente in termini quantitativi ma non qualitativi del fenomeno in analisi.


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