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SBK, LA STORIA, Borciani: "Sognare la moto mi ha fatto guarire"

L'ex pilota e team manager SBK ha sconfitto il rivale più cattivo: "tornare in sella è stato come vincere il titolo italiano"

SBK: LA STORIA, Borciani: "Sognare la moto mi ha fatto guarire"

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Quando ci si infila improvvisamente ed a grande velocità in un tunnel buio, insidioso e senza conoscerne la lunghezza, è difficile sperare di rivedere la luce, specialmente se non si è preparati ad affrontarlo e non sono presenti vie di fuga.

Cinquantasette giorni consecutivi trascorsi in un letto d’ospedale, attaccato a macchinari per rimanere in vita, bombardato da potentissime e devastanti terapie, per tentare di tornare alla normalità: Marco Borciani ha gareggiato con il coltello tra i denti, dopo un intervento chirurgico all’intestino, attaccato ferocemente dal rivale peggiore: “ho saputo di essere malato quasi per caso -inizia il suo racconto Borciani- da qualche giorno avevo forti dolori allo stomaco, una febbre altissima ed ero ko, senza energie. Dopo diverse ed insistite visite specializzate, mi è arrivata la notizia, simile ad una pedata. Avevo un tumore”.

Il momento più duro per te quale è stato?

Il periodo più pesante è stato quello delle chemioterapie; due mesi in ospedale a Brescia, senza mai andare a casa. La gente mi veniva a trovare indossando mascherine e cuffie protettive. Altro che gare motociclistiche: quando affronti un male così cattivo, la pressione che hai addosso è incalcolabile”.

Non potevi controllare nulla. Eri in balia degli eventi. Ma hai reagito alla grande…

“Esatto, mangiavo e bevevo, senza limitarmi alle solite pappine ospedaliere; ‘sottobanco’ mi concedevo di tutto. Ho reagito, non so perché. Forse perché io sono abituato alle sfide. Ho formulato l’idea che i motociclisti, ma anche i ciclisti e gli sportivi in generale, abituati alle sfide, sappiano ritornare in piedi con più forza e reagiscano meglio alle difficoltà. Anche le persone mi hanno aiutato, sia quelle che venivano a trovarmi, che gli amici sui profili social. Loro mi hanno dato forza”.

Il due volte campione italiano Superbike ha avuto di fianco a sè ingegneri e “telemetristi” d’eccezione che lo hanno aiutato a ritrovare la speranza: “i medici sono più crudi e diretti dei telemetristi. I dottori ti dicono in faccia quali problemi ci sono. I telemetristi ti coccolano, ci girano intorno, sono più amichevoli. Per mio carattere, preferisco affrontare le rogne”.

Come quando correvi?!

Io ero un pilota onesto ed obbiettivo: non mi sono mai lamentato della moto; se questa non aveva problemi, non ho mai cercato alibi. Nei turni di prove storti preferivo dire ‘ragazzi, andiamo a cena. Domani sarà una giornata migliore’. Un pilota deve riuscire a capire quando non è al top, senza accampare scuse”.

Pensi che ci siano ancora piloti “old style” come te?

“In SBK si tenta di emulare la MotoGP a livello di professionalità, ma ritengo che ‘fare lo scemo’ ogni tanto non deve essere ritenuto poco professionale. Ricordo un giovanissimo pilota arrivato nel paddock SBK: era semplice, dava il gas a due mani, andava forte. Lo hanno addomesticato, è migliorato a parlare ma… risultati zero: o cade, o è lento. Avere la testa giusta è la prima cosa che un pilota deve avere”.

Ti viene in mente un esempio?

Certo: Valentino Rossi. Lui si diverte e si vede. Valentino ha 38 anni e gode ancora a guidare la moto. Secondo me, invece, Lorenzo non si diverte”.

La Superbike di oggi ti diverte?

Non tanto. Il format non mi esalta, preferivo la vecchia Superpole e mi piacevano le due gare domenicali. Anche la tecnica non mi piace: la troppa elettronica e i diversi regolamenti dei vari campionati non facilitano la presenza delle wild card, primo elemento di spettacolo nella SBK. Il monogomma però è eccellente, ma le moto dovrebbero essere come le Superstock”.

Borciani, rider nel DNA, nei giorni scorsi è tornato in sella con una moto stradale. È stato come toccare il cielo con un dito, anzi, con il cupolino della moto in impennata: “è stato bello, bellissimo, esattamente come vincere il campionato italiano! Ne ho vinti due, sono state le gioie più belle vissute da pilota. In sella nei primi 2 o 3 giri ero un po' teso, però, dal settimo passaggio in poi mi sentivo come se non avessi mai smesso di pilotare”.

Hai vinto tu Marco!

Per avere la ‘garanzia ufficiale’ della mia totale guarigione mi devo sottoporre ancora a qualche ‘tagliando’ di manutenzione (ride). Farò esami del sangue e visite di accertamento in periodi prestabiliti, con l’aiuto di qualche medicinale. No problem: vado a camminare a piedi spesso e mi sto rimettendo in forma”.

Quale è il tuo prossimo obbiettivo?

Voglio ritornare a lavorare nel settore, nel mio ambiente. Mi piaceva commentare la MotoGP prima di ammalarmi. Vorrei anche allevare qualche giovane pilota, magari in Moto3 o nella Supersport 300, che è come la Sport Production da dove provengono Rossi, Capirossi, Biaggi ed il sottroscritto”.

Dopo questo difficile cammino, quale messaggio vuoi rivolgere ai più giovani?

Ci sono stati dei momenti nei quali ero paralizzato nel letto e immaginavo di essere al Mugello, in piega tra le due Arrabbiate. Mi muovevo nei corridoi dell’ospedale coi tubi attaccati ai macchinari ed un carrellino da portarmi a spasso. L’ospedale è stato il mio paddock per due mesi e io scorrazzavo come facevo nella pit lane. Servono sogni ed obbiettivi se si vuole guarire, ed io li avevo. Preferirei vivere meno e fare ciò che mi piace, piuttosto che preservarmi e campare qualche attimo in più”.

Meglio un giorno da leoni che 100 da pecora, come direbbe Marco Borciani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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