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'Frankie' Chili: "MotoGP e SBK, crisi di valori"

"Meglio schiaffi e strette di mano spontanei come ai miei tempi, quando ci divertivamo a correre e nessuno ci strumentalizzava"

'Frankie' Chili: "MotoGP e SBK, crisi di valori"

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La lista di nomi degli avversari con cui Pierfrancesco Chili ha condiviso battaglie e duelli in pista, nonché liti e tafferugli nei box, fa venire i brividi, facendoci rivivere un motociclismo che, in certi aspetti, ha perso la sua spontaneità, lasciandoci un formato che, specialmente agli appassionati puristi, sa di preconfezionato e realizzato “ad hoc”.

Michael Doohan, Kevin Schwantz, Max Biaggi, Luca Cadalora, Carl Fogarty, John Kocinski, Colin Edwards, Troy Corser e Troy Bayiliss… se non vi bastano questi esempi, possiamo aggiungere Tetsuya Harada, Doriano Romboni, Randy Mamola, Wayne Rainey, Scott Russell, Eddie Lawson, Neil Hodgson, Loris Capirossi e Loris Reggiani. Tutti rigorosamente elencati in ordine sparso, perché i file dei nostri ricordi, spesso, riemergono senza precise connotazioni e collocazioni storiche.

Un vero personaggio, Pierfrancesco. Uno di quelli che non si preoccupa di esserti simpatico o meno, uno di quelli che diceva e dice ciò che realmente pensa, senza filtri, senza maschere, comunicando le proprie emozioni con la sua spontanea emotività. Non per caso, sebbene egli non abbia mai vinto un titolo mondiale, era e resta uno dei piloti più amati tanto da essere inserito nella "Hall of Fame" SBK ed in diverse occasioni, Chili ha avuto la bravura di vincere tante gare, battendo proprio gli avversari che abbiamo piacevolmente elencato prima.

Parlando con “Frankie”, questo diventò negli anni il suo nome di battaglia, sai che non ti aspetterai risposte da calciatore imbavagliato né da politico corrotto: “attualmente non sono molto legato al mondo delle corse, ho provato ad avere un mio team nel campionato italiano ma, dopo che ho visto come girava il fumo, ho annusato un’aria viziata e ho preferito non essere di peso a nessuno, perché io, in qualsiasi ambiente, voglio sentirmi a mio agio, senza dover fingere o cose del genere. Mio figlio Kevin corre, ma io mi occupo di altre cose: ho due stabilimenti balneari e sono nel settore immobiliare”.

Eppure, gli appassionati vogliono personaggi come te.

Sì, confermo ciò che dici, lo ho notato a fine carriera, soprattutto. Ma anche adesso mi invitano ad eventi e trasmissioni tv. A fine agosto ero sull’Isola di Man dove ho dato il via al TT Classic e ho anche girato con la Suzuki di Schwantz; mi sono divertito tantissimo e mi sentivo a casa… io sono sempre stato una persona schietta e diretta, non amo il nostro sistema politico che ci sta portando al baratro e detesto chi ti dice una cosa e poi ti raggira”.

Ne hai consumati di duelli, tu…

Sì, sono stati anni stupendi ed affascinanti”.

Da dove partiamo? Dalla tua vittoria in 500 nel 1989 con la Honda?

“Sì, ma non fu granchè. Non è una gara che ricordo con piacere, non tanto per la vittoria sul campo, quanto per lo sciopero fatto dagli altri piloti. Pensa, io li avevo avvisati due mesi prima della gara a Misano; avevo detto loro che, in caso di pioggia, le condizioni della pista sarebbero state critiche ed insidiose, ma non venni considerato, dato che non facevo parte del “gruppo degli americani”; poi, guarda caso, la domenica mattina del Gran Premio piovve, loro si riunirono sul camion di Mamola, decidendo di non correre. Ma io, come altri, mi assunsi le mie responsabilità e disputai la gara, vincendo. Certo, i migliori non presero parte alla corsa, e mi dispiacque molto, perché in seguito ho dimostrato di poter vincere ancora sotto la pioggia. Chissà, magari, quel giorno a Misano, avrei battuto gli americani lo stesso”.

Ma le più grandi rivalità Chili le ha vissute nelle altre classi, a partire dalla 250, dove, più che avversari, Pierfrancesco aveva dei veri e propri nemici: “nel 1992 guidavo una Aprilia e dividevo il box con Max Biaggi… ricordo che nella gara italiana al Mugello parlai con Max, dicendogli di essere prudente, specialmente negli ultimi giri, perché per noi era importante portare a casa un buon risultato. Ebbene, nonostante le mie parole, alla fine dell’ultimo passaggio, Max arrivò lungo alla San Donato e, quando rientrò in traiettoria per affrontare la prima “esse”, mi centrò portandomi via l’anteriore, facendomi cadere a terra. Quando rientrai nel garage, mi aspettai le sue scuse, invece, nulla, Biaggi si limitò a chiedere agli uomini del team dove io fossi finito. Ero incazzatissimo”.

Chili e Biaggi, in effetti, non hanno mai comunicato molto, tranne a colpi di carena; diverso il rapporto con Luca Cadalora, che Pierfrancesco ricorda così: “ad Assen sono sempre andato forte, il disegno della pista olandese esaltava le mie caratteristiche di guida (grandi velocità in curva e precisione nelle traiettorie), quindi, nel 1991 in 250 fregai Zeelemberg e Cadalora proprio all’ultimo giro, vincendo il Gran Premio. Tuttora Luca lo ammette: in certe piste ero difficile da battere, anzi, ero proprio da lasciare stare”.

Bei momenti, ma vuoi parlare tu di Assen 1998?

Ne hanno parlato in molti, e ancora lo fanno: in quella stagione ero in lizza per il titolo SBK, guidavo una Ducati 996 ufficiale e i miei avversari erano Fogarty, Corser e Slight. Nella gara in Olanda, il duello con Foggy fu feroce e, lo ammetto, sbagliai io. Carl, nell’ultimo giro, ebbe un comportamento duro, è vero, ma se io fossi stato meno nervoso e più lucido, non avrei sbagliato la staccata e non sarei finito nella sabbia. Lui vinse ed io raccolsi solo sassi e molta rabbia”.

Bè, manca un episodio a questo racconto…

Eh, sì, dopo la gara andai da Foggy e, diciamo, uno scappelloto glielo tirai… mi è scappato, quella fu una reazione spontanea e sai, c’erano in ballo un campionato mondiale, l’adrenalina della gara; certi episodi a caldo ci possono stare. Si è parlato tanto di quell’episodio, ma posso dire che io e Carl ci siamo chiariti e quando vado in Inghilterra, lui mi ospita a casa sua e ricambio il gesto quando lui viene qui in Italia. Tutto questo perché noi abbiamo parlato direttamente, senza intermediari o portavoce”.

Insomma, tu odi le strumentalizzazioni?!

Decisamente.”

Tu, insieme agli altri, ti divertivi in pista e facevi divertire i fans; secondo te, i piloti di oggi si divertono ancora?

Mmm, sì e no. In alcuni momenti non mi sembrava si divertissero. Per esempio, le ultime gare della MotoGP della passata stagione mi hanno disgustato. Quest’anno, dopo il brutto evento vissuto a Barcellona, dove un giovane ragazzo ha perso la vita, due dei protagonisti del Motomondiale (Rossi e Marquez) si sono stretti la mano, in segno di pace avvenuta. Ma dico, serviva un incidente del genere per farli riconciliare? Per come sono fatto io, e per come erano le gare ai tempi miei, avrei preferito che fossero loro due, in altre situazioni, a riavvicinarsi. Ai miei tempi, schiaffi e strette di mano erano totalmente spontanei”.

Va bene, i tempi sono cambiati e non ti piacciono. Quale è la causa?

Nelle corse professionistiche di oggi gira molto denaro ed i soldi hanno un potere tale da prevalere su tutto il resto. Oggi il business è così forte che annichilisce i valori morali e sportivi per cui si dovrebbero correre le gare; chi mette il denaro vuole dire la propria, desidera comandare e tutto questo crea un gran casino”.

In pista, però, i sorpassi non mancano.

Sì, soprattutto in Moto3 e Moto2, lo spettacolo è interessante. In MotoGP abbiamo visto 8 vincitori diversi fino alla scorsa gara e questo è un dettaglio molto bello per il nostro sport”.

Però, in MotoGP, abbondano le polemiche dopo ogni tipo di manovra.

Questo accade perché chi ha seminato sta raccogliendo: Valentino Rossi è stato il primo a giocare psicologicamente con i suoi avversari, proponendo gesti, frasi e gag che mandavano in bestia i rivali e li destabilizzavano. Non è semplice far innervosire Valentino ma lui è stato l’artefice di tutto ciò e gli sta tornando indietro. Poi, bisogna stare attenti, il pubblico delle moto sta diventando simile agli ultrà del calcio e questo non va bene”.

Insomma, Pierfrancesco Chili, l’uomo che vedeva solo il bianco ed il nero, senza strategie o tattiche di sorta, colui che ai tempi in cui correva in SBK dichiarò: “se mi chiamassi Chilinski ed arrivassi da oltreoceano anziché da Castenaso, avrei una Ducati 916 ufficiale e non una privata”, rimane uno dei più sanguigni e genuini personaggi del motociclismo e, probabilmente, l’audience della SBK ne gioverebbe immediatamente.

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