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SBK, Davies, in Ducati ho trovato casa

L'ex "Ulisse" delle moto ripercorre le peripezie: "Il mio segreto? Un approccio metodico"

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Nonostante il fisico slanciato, più simile a quello di un podista che di un pilota, Chaz Davies sembra fare di tutto per passare inosservato. Pantaloni corti, t-shirt e scarpe di tela costituiscono le basi del suo dress-code in pista, al quali fanno da complemento capelli corti, senza pettinature vistose, occhi limpidi di un azzurro chiaro, ed un tono di voce pacato. Pur assomigliando al ragazzo della porta accanto, il 28enne gallese ha mostrato doti fuori dal comune in pista – “last but not least”, per usare un’espressione a lui nota, portando la Panigale alla prima vittoria in SBK ed interrompendo così un digiuno lungo 58 gare.

Al trionfo di Aragon hanno fatto seguito due solidi secondi posti ad Assen, pista dove non era mai andato oltre la quinta posizione in SBK, e ad Imola le aspettative ed il calore nei confronti del ducatista, ormai seconda forza del campionato (anche se la matematica incorona ancora Haslam) sono palpabili. In attesa del pieno recupero di Davide Giugliano, Davies ha dimostrato di poter indossare con onore la fascia di capitano nei box di Borgo Panigale.

“Mi sento bene, stiamo ottenendo i risultati che ci aspettavamo, cioè stare sul podio con regolarità – ha commentato Davies – L’anno scorso è servito per imparare a conoscere la moto e la squadra, e fare lo sviluppo. Quest’anno bisogna attaccare, e ci siamo sempre riusciti, a parte in Tailandia dove sono caduto. Dobbiamo fare ancora di più la differenza, vincere più gare. Questo è l’obiettivo”.

“Abbiamo imparato molto nelle ultime gare, soprattutto a livello di ciclistica – ha aggiunto – La Panigale è una moto più completa, ci resta qualcosa da migliorare ma non c’è nessuna lacuna evidente”.

Correre per Ducati, un marchio che va ben al di là delle singole moto che escono dalla fabbrica, ha poi significati aggiunti. Soprattutto ad Imola, a poche decine di chilometri dal quartier generale di Borgo Panigale.

“Me ne sono accorto per la prima volta qui lo scorso anno. Prima di salire due volte sul podio, non avevo veramente pensato al fatto che corressimo a pochi chilometri da Borgo Panigale. Dopo però ho capito, sentendo veramente il supporto di tutti i tifosi. Quest’anno lo sento ancora di più, anche perché stiamo facendo risultati migliori ed abbiamo anche vinto una gara. Vorrei fare un bel regalo ai ducatisti”.

La parola vittoria non è menzionata, forse anche per quel pizzico di superstizione che accompagna ogni pilota, ma è chiaramente questo l’obiettivo del gallese.

“Lo scorso anno abbiamo ottenuto ottimi risultati, chiudendo due volte secondi (primo podio di Davies con la Panigale, nda) senza aspettarcelo. Allora mi sembrava di guidare sopra ai problemi, mentre quest’anno siamo molto più avanti con lo sviluppo. Siamo stati competitivi su ogni tracciato affrontato fin qui, quindi non vedo perché non possiamo giocarcela al vertice”.

Visti i precedenti storici (tre vittorie) e l’andamento del campionato fin qui, Jonathan Rea si presenta ad Imola come l’avversario principale.

“Johnny ha un ottimo record qui, così come ad Assen la scorsa gara. Sarà l’uomo da battere. È a suo agio, tranquillo, in pieno controllo. Il suo stile è molto dolce, non ti accorgi della differenza se va al 90 o 100 per cento”.

Anche Davies, dal canto suo, non è avvezzo a colpi di coda. Pilota metodico, il gallese appartiene a quella schiera di centauri che, se fanno un determinato tempo sul giro, sono poi in grado di ripeterlo con regolarità.

“Ho sempre avuto un approccio graduale. Non ho mai corso prima di aver imparato a camminare. Non provo quasi mai a guidare oltre ai limiti che percepisco. Credo che questo approccio aiuti a sviluppare la moto, facendo passi avanti costanti e dando un feedback preciso. La moto ora è più completa, ma non dipende solo da me, anche da chi deve interpretare le mie sensazioni. Con Ducati abbiamo fatto una buona progressione, ma il lavoro finisce mai”.

foto www.costantinodidomenico.comE dire che, prima di approdare in Ducati, Davies è stato una sorta di Ulisse delle due ruote, con le quali ha corso prima tra i prototipi e poi con le derivate di serie, tra Europa e Stati Uniti, cambiando casacca praticamente ogni anno. Ora però sembra aver finalmente trovato casa.

“Ora ho trovato stabilità. Correre su moto di questa cilindrata è più facile per piloti della mia altezza (182 cm). Certo, le 125 e 250 erano un po’ piccole per me, ma era più che altro una questione di opportunità”.

Forse non tutti sanno che Davies, come del resto il suo amico Casey Stoner, si è fatto le ossa nel vivaio spagnolo. A differenza dell’australiano, però, non ha avuto vita facile nel motomondiale.

“Dipende dal percorso agonistico di ciascuno. Sono entrato nel mondiale 125 in un brutto contesto, con una squadra che non mi voleva. Non è il modo di iniziare, servirebbe una moto competitiva ed una squadra che creda in te. La prima opportunità che hai spesso influenza il resto della tua vita agonistica”.

Nel suo caso, ha significato un lungo pellegrinaggio.

“In 250 ho ottenuto risultati migliori, ma non ho mai avuto una moto ‘factory’ a disposizione. Avevo il kit, che non era troppo distante dalle moto ufficiali come prestazioni, ma la differenza c’è. Chi può dire cosa sarebbe successo se avessi avuto un’opportunità diversa?”

La passione, comunque, ha dato a Davies la determinazione necessaria per continuare a lottare per esprimere il suo potenziale. Ad Imola, accanto a lui ci sono due tifosi d’eccezione.

“Sono stati i miei genitori a farmi iniziare a correre. Mio padre ha sempre voluto una pista da go-kart, ed ha finito letteralmente per costruirne una. Ha collocato, con le sue mani, 26.000 mattoncini. Sono tanti (ride). Dopo qualche tempo l’abbiamo ricoperta di asfalto, ed abbiamo tutti cominciato a guidare come un hobby”.

Come altri prima di lui – vedi Valentino Rossi – Davies ha mosso i primi passi su quattro ruote.

“Andavamo in pista con tutta la famiglia. Io, mio padre, mia madre, e mia sorella (di tre anni più grande). Piano piano, è diventata una cosa seria. Quindi ho iniziato andavo solo su quattro ruote, ma non è durata molto. Quando avevo sette anni ho fatto un brutto incidente con il kart. Da lì, non so come, ma abbiamo pensato che le moto fossero più sicure (ride)”.

Pur trascorrendo molto tempo in pista, Davies non pensava inizialmente ad una carriera da pilota. Semplicemente, da cosa è nata cosa.

“Ho iniziato nel campionato britannico di mini-moto, per poi passare alle 80cc. È stato un percorso naturale, cominciato come una passione per poi, con risultati via via migliori, diventare qualcosa di serio. L’unico vago ricordo di quando andavo ancora sulle mini-moto è Valentino Rossi. Era il 1997, correva in 125, ed ho pensato ‘il suo lavoro è una figata, voglio farlo anch’io’”.

Missione compiuta. Ed ora che ha trovato la giusta tranquillità, Davies non ha nessuna intenzione di lasciare Ducati. Come Giugliano, anche lui è in scadenza di contratto. I risultati, comunque, fanno propendere per una sua riconferma.

“È ancora troppo presto per parlarne. Io sicuramente sono contento, ma non posso parlare per gli altri. Siamo solo al quinto round, ci resta molto lavoro da fare”.


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