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MotoGP, Rea come Rossi: nei box comandano loro

Quando il vicino è scomodo: storie di rivalità interne e gerarchie ridefinite in pista

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Uno dei più vecchi adagi del mondo delle corse vuole che il proprio compagno di squadra sia il primo rivale. Difficile sostenere il contrario, anche con regolamenti tecnici sempre più restrittivi, perché non esiste confronto ad armi più pari di così. Mettete due prime guide nello stesso box, poi, e ci saranno tutti i presupposti per una rivalità accesa, di quelle destinate a pagine importanti negli annali.

Gli esempi non mancano e, quest’anno, sia MotoGP che Superbike stanno offrendo nuovi e interessanti spunti. Nel motomondiale, Rossi ha fin qui surclassato nettamente Lorenzo. Il Dottore ha ottenuto due vittorie su tre (alle quali si aggiunge un terzo posto in Texas) che lo hanno proiettato in testa alla classifica con 66 punti. Lorenzo, nonostante una preparazione invernale che lo ha riportato al pieno della forma dopo i problemi dello scorso anno, ha chiuso due volte a quarto ed una quinto, collezionando 37 punti (29 in meno del compagno di squadra). Se in Qatar il maiorchino era stato penalizzato da problemi all'imbottitura del casco ed in Texas da una fastidiosa bronchite, in Argentina la lezione impartita da Rossi (chiedere anche a Marquez) è stata di quelle severe, capaci di ribaltare definitivamente gerarchie in continua ridefinizione. Già, perché le moto sono sì uno spettacolo, ma prima ancora un business spietato, dove contano (quasi) solo i risultati.

A proposito di gerarchie, tra le derivate di serie, Rea ha relegato al ruolo di ospite Sykes nei box Kawasaki. Il nordirlandese, reduce da anni di dura quanto preziosa gavetta, ha centrato sei vittorie e due podi in otto manche, fuggendo in campionato a quota 190 punti (su 200). Per contro, Sykes è salito sul podio in soltanto due occasioni (terzo ad Aragon e Tailandia), con 88 punti in totale, 102 in meno del nuovo e scomodo compagno di squadra. "Ho lavorato con molta calma nei test pre-stagione, passando due giorni solo per trovare la giusta posizione di guida", ha commentato Rea. "Però mi sono subito reso conto che la Kawasaki era un moto da titolo, anche migliore di quanto pensassi avendola vista dall'esterno". Rea ha svolto bene i compiti a casa, lavorando con pazienza ed in silenzio durante ogni giornata di prove, probabilmente anche tenendosi del margine da sfruttare in gara. Stesso discorso per il numero 46, raramente autore di giri "monstre", ma finissimo stratega sulla lunga distanza, l'unica che conti veramente.

Sia nel caso di Rea che di Rossi, i vantaggi sono ovvi: al di là dell'aspetto psicologico (impossibile da quantificare), c'è in palio lo sviluppo della moto. Quando i piloti esprimono opinioni differenti, conta di più il parere di va più veloce, ovviamente. Si tratta di una storia che, con le dovute differenze, si ripete. Andiamo a ripercorrereinsieme qualche esempio recente di vicinanze scomode, con coinquilini impegnati a ridefinire gli equilibri preesistenti, in lotta per il ruolo di padroni di casa.

Correva l’anno 2007, ed un giovane e relativamente sconosciuto Casey Stoner approdava in Ducati, dove il padrone di casa era Loris Capirossi. L’australiano aveva dato prova di grande talento e velocità, ma si era fatto una reputazione di cascatore seriale con il team di Lucio Cecchinello. Il nuovo contesto tecnico, tuttavia, ne ha rivelato doti precedentemente inimmaginabili. Già nei test di Valencia, la leggenda narra di un Capirossi (al quale Casey aveva chiesto l’autografo appena entrato nei box) esterrefatto quando, guardando le telemetrie, si rese conto di come il Canguro facesse il curvone che porta al tornantino finale con il gas sempre spalancato. A fine anno, il confronto è impietoso: per Stoner 10 vittorie, 4 podi (Francia, Olanda, Portogallo e Valencia), 367 punti e titolo mondiale in tasca. Per Capirossi, una vittoria, due podi (Turchia e Germania), 166 punti (201 in meno del compagno) e settimo posto in campionato.

Per Stoner non sarà la prima volta. Arrivato in Honda nel 2011 dopo anni di progressivo calo su una Ducati sempre meno competitiva, l’australiano impartirà una dura lezione all’amico Dani Pedrosa. Come nell’anno del primo titolo, il 27 colleziona 10 vittorie, alle quali vanno aggiunti sei podi (Estoril, Assen, Mugello, Sachsenring, Misano, Motegi). Solo una volta Stoner non sale sul podio (a Jerez, atterrato fortuitamente da Rossi alla prima curva), ed i punti totali sono 350 punti. Il titolo, manco a dirlo, è di nuovo suo. Pedrosa invece vince tre volte, collezionando anche sei podi (Qatar, Jerez, Laguna Seca, Indianapolis, Misano, Aragon) per un totale di 219 punti, 131 in meno del compagno di box (pesano molto anche le tre gare saltate dopo Le Mans per infortunio alla clavicola).

La rivalità più lunga resta comunque quella tra Rossi e Lorenzo, giunti al sesto anno di convivenza. Nel 2008, l’arrivo del maiorchino nei box Yamaha non fu gradito a Rossi, allora padrone assoluto di casa e geloso custode dei propri “segreti”. Anche perché Lorenzo non ci mise molto ad imparare e dimostrare la propria stoffa: pole position e podio all’esordio in Qatar (la prima di tre consecutive), vittoria alla terza gara, cinque podi (Qatar, Jerez, Le Mans, Misano, Indianapolis), e 190 punti in totale. Il 99 pagò però lo scotto dell’inesperienza con alcune dolorose cadute, e Rossi, dopo una partenza lenta, ritrovò la quadratura del cerchio: 9 vittorie, 7 podi (Jerez, Estoril, Barcellona, Donington, Sachsenring, Phillip Island e Valencia), 373 punti (183 in più del compagno), e titolo nuovamente in cascina dopo due anni di digiuno.

Nel 2009, tuttavia, le gerarchie cominciarono a vacillare. Rossi riuscì a confermarsi campione con sei vittorie e sette ulteriori podi (Qatar, Motegi, Mugello, Laguna Seca, Phillip Island, Sepang, Valencia), ma i punti di distacco dal compagno (4 vittorie e 8 podi) saranno soltanto 45 a fine stagione. Per il passaggio di consegne, bisognerà attendere soltanto qualche mese. Nel 2010, Lorenzo centra nove vittorie (più sette podi tra Qatar, Mugello, Sachsenring, Indianapolis, Misano, Sepang, e Australia). Il bottino finale è di 383 punti, più che sufficiente per ottenere il suo primo titolo in classe regina. Rossi non si arrende ma appare teso e, come se non bastasse, subisce due gravi infortuni, prima in allenamento con il cross (spalla) e poi in prova al Mugello (tibia e perone). Il Dottore salterà quattro gare per infortunio, chiudendo la stagione con due vittorie, otto podi, e 150 punti in meno del compagno di squadra.

Stufo della convivenza e preoccupato dal pensionamento di Masao Furusawa, suo uomo di fiducia nel reparto corse di Iwata, il pesarese cercherà (invano) fortuna con Ducati, per poi tornare più agguerrito che mai. Nel 2013, Lorenzo ha fatto 83 punti più di lui, ma lo scorso anno il maestro veterano (2º in campionato) ha battuto nuovamente l’allievo per 32 lunghezze. Probabilmente, parte della partenza lanciata di Rossi nel 2015 passa anche da qui. Le sue indicazioni, vista la velocità mostrata in pista, valgono oro per il reparto corse. Discorso identico per quelle di Rea. Stiamo parlando di due piloti, personaggi e campionati diversi, ma in questo hanno molto in comune.

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