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Franco Picco: la Dakar? manca l'Avventura

"Quella con la A maiuscola. In Africa si navigava e c'era il deserto vero". Potrebbe tornare nel 2016

Dakar: Franco Picco: la Dakar? manca l'Avventura

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Nel bivacco c’è solo un italiano che può vantare di aver fatto tutte e sette le edizioni della Dakar da quando si è trasferita nel 2009 in Sud America: 4 in gara e 3 come assistenza.

Il nome non ha bisogno di presentazioni. Stiamo parlando di Franco Picco, unica assistenza italiana dedicata alle moto in questa Dakar 2015. Classe 1955, Franco si muove a bordo di un camion 4x4, il modo migliore per trasportare i ricambi e fare assistenza alle moto. Quest’anno aveva due piloti: l’avvocato romano Paolo Sabbatucci e il sudafricano Boschman. Il primo si è ritirato alla terza tappa, il secondo alla sesta.

Quando la Dakar si è spostata in Argentina, l’anno dopo l’annullamento dell’edizione 2008, Picco ha partecipato come assistenza e si è reso conto che la versione sudamericana – comparata a quella che aveva lasciato in Africa, era fattibile. A 55 anni è tornato così a correre in moto nel 2010, finendo primo della categoria marathon, per le  moto di serie, e 23esimo assoluto. Nel 2011 e 2012 è tornato ancora in moto, ma accompagnando dei clienti.

“Quando ho partecipato alla Dakar come assistenza nel 2010, mi sono reso conto che le condizioni non erano estreme come in Africa, così nel 2010 sono tornato in gara. Sarebbe stato impensabile nel continente nero dopo l’operazione all’anca. L’organizzazione ha fatto bingo a spostare la gara in Sud America, la cosa strana è che si chiama Dakar!”

Grande protagonista della maratona africana, con un terzo posto e due secondi e oltre 10 vittorie di tappa,  Franco Picco è  una delle voci più autorevoli per capire come si è evoluta una gara che, in termini di esposizione mediatica, è seconda solo alla MotoGP per quanto riguarda la competizione su  due ruote.

“A livello di guida la gara è più tecnica a scapito della navigazione, non a caso le nuove leve vengono quasi tutte dal cross. La Dakar moderna richiede velocità e tecnica. La bravura di un pilota consiste nel saper gestire la corsa. Il terreno è ideale. Qui troviamo il deserto in mezzo alle montagne. Anche il clima è una bella sfida. In Argentina il termometro ha segnato anche 45 gradi, mentre in Bolivia Gerard Farres è stato costretto a  ritirarsi  per ipotermia”.

In Africa, invece, la navigazione rivestiva un ruolo fondamentale ed i piloti erano – prima di tutto -  dei grandi navigatori. Certo, anche la strumentazione si è evoluta.

“Manca però l’avventura con la A maiuscola - commenta Picco - non ci sono più le distese di sabbia a perdita d’occhio, dove eri solo con il deserto”.

Com'è che sei arrivato alla Dakar dal cross?

"Non è stato un innamoramento. La Yamaha mi fece notare che andavo forte prevalentemente sui terreni duri, così la Yamaha Italia mi iscrisse alla Dakar per migliorare la mia guida sui fondi sabbiosi. Finita la Dakar del 1985 con un terzo posto assoluto dal Giappone mi proposero di continuare nei rally-raid. Ti dirò, all'inizio non è che mi piacesse troppo: erano gare scomode e con poca assistenza".

Ti è mancata la vittoria assoluta.

"Nella prima edizione non avevamo una assistenza tecnica adeguata, poi nel 1988 e 1989 pagai l'annullamento di una tappa. Nell''88 Edi Orioli si era lussato una spalla, ma grazie all'annullamento non perse troppo terreno, l'anno successivo invece Lalay ruppe il motore e riuscì a sostituirlo".

Mai avuto paura di morire?

“No. Eravamo disposti a tutto pur di finire e di vincere”.

A livello di sicurezza l’organizzazione ha fatto passi da gigante anche se,  purtroppo,  si muore ancora, come è successo quest’anno al trentanovenne  polacco Michal Hernik, il quinto in sette anni di gare sul suolo sudamericano.

È inequivocabile che questa versione moderna della Dakar piace, ma non a tutti.

"Nessuno sottovaluta i rischi mettendosi in pericolo, gli incidenti sono una fatalità. Bisogna essere sempre concentrati, per questo ora faccio l'assistenza: dovendo seguire molte cose non avrei la testa rischiando di rimanere vittima di qualche incidente. ma il prossimo anno, chissà, potrei tornare a correre".

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