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Indianapolis, la sagra della MotoGP

Tra l'ovale e le campagne, il GP si trasforma in una grande festa di paese, fra musica e colori

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Le 200 miglia che separano Chicago da Indianapolis snocciolano lente la storia del Mid West. L'autoradio intercetta trasmissioni in tre lingue (inglese, russo, spagnolo) e, uno dopo l'altro, la strada propone cartelli che indicano deviazioni per Whitestown (Città dei Bianchi) Brownsburg (Città dei Marroni) Zionsville, Russiaville, Attica, Delphi, Lebanon, Arcadia, Morocco, Monticello, Hebron,  Goodland. Piccole realtà (poche migliaia di abitanti) sparpagliate nella pianura della Corn Belt, la Cintura del Grano, che garantisce cereali a colazione a tutta l'America.

Se Chicago è la città dei white collars (colletti bianchi – gli impiegati) e Detroit quella dei blue collars (i colletti blu – gli operai) l'Indiana è la terra dei red necks: i colli rossi; i contadini con la pelle bruciata dal sole. Nonostante l'ovale sia stato voluto, all'inizio del secolo scorso, da tre imprenditori che intendevano garantire un tracciato permanente di prova alla nascente industria dell'automobile, il successo dell'operazione non è riuscito a trascinare con sé lo stato dell'Indiana in una direzione diversa da quella impressa dai coloni: campagna era, campagna è rimasta.

Sarà forse per questo, ma il Gran Premio, qui, conserva tratti da festa di paese. In centro città, alla vigilia della gara, da pomeriggio fino a notte fonda, si riuniscono a frotte gli appassionati che parcheggiano, una accanto all'altra, a migliaia, le moto. In esposizione. Come, nelle fiere,  i maiali più grassi ed i cavalli  più eleganti, a caccia della coccarda del primo premio. In gran parte, le moto sono custom e chopper: negli Stati Uniti, le due ruote per eccellenza. I mezzi legato all'idea del grande viaggio, del coast to coast, dell'avventura. Le moto che maggiormente si prestano ad essere trasformate, abbellite, modificate, adattate alla personalità di chi le possiede. Che, a volte, trasforma non solo la moto, ma anche se stesso: bighellonare in Monument Circle o lungo South Meridian Street offre un grande, curioso panorama delle une e degli altri.

Ogni ristorante, ogni bar esplode, contro la strada, bordate di suoni sparati da impianti stereo. Di rado, troppo di rado, si ascoltano i versi di Roger McGuinn:

All he wanted

Was to be free

And that's the way

It turned out to be

Flow river flow

Let your waters wash down

Take me from this road

To some other town.

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