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MotoGP ha bisogno di moto, non di Case

Suzuki, la F1 e la lezione del passato: il perché bastano due marche per fare un campionato

MotoGP: MotoGP ha bisogno di moto, non di Case

Non si sa ancora quante moto metterà in campo, chi le guiderà, quale struttura le seguirà e se effettivamente rientrerà nel 2014, eppure la Suzuki sta già facendo parlare di sé. Principalmente perché la Dorna non ha steso nessun tappeto rosso per il suo ritorno in MotoGP, anzi ha fissato dei paletti che non ha nessuna intenzione di spostare. Prima si è espresso Carmelo Ezpeleta: “una delle novità più importanti è che chiunque vorrà entrare nella classe regina dovrà affidarsi a una delle squadre esistenti”. Poi Hervé Poncharal, presidente Irta, lo ha appoggiato in un’intervista rilasciata a MCN: “è la migliore soluzione che si potesse trovare. Tutti i team indipendenti hanno spinto molto su questo punto negli scorsi anni e sono contento di sapere che è questo il programma”.

Suzuki dovrà quindi affidarsi a un team esterno, nulla comunque di così strano per la Casa di Hamamatsu che ben prima di questa regola si appoggiava già a strutture esterne, prima con Garry Taylor e poi con Paul Denning. Neanche la posizione di Ezpeleta deve stupire, è da tempo che il numero 1 di Dorna afferma che l’importante per la MotoGP non è avere nuovi costruttori e questa volta sembra avere ragione e avere ben presente la storia del motomondiale. Suzuki, negli ultimi vent’anni, non ha mai avuto un ruolo troppo importante nella classe regina. Non parliamo di risultati (anche se dagli anni ’90 a oggi ha solo raccolto due titoli con Schwantz e Roberts Jr ancora con le 2 tempi) ma della partecipazione. Ha sempre e solo messo in pista due moto (wild card a parte) in schieramenti dominati da Yamaha e Honda, fino ad arrivare alla solo moto del 2011.

Non c’entra nulla la crisi economica degli ultimi anni, anche in stagioni ‘non sospette’ i costruttori che riempivano la maggior parte della griglia di partenza, direttamente o fornendo i proprio propulsori, sono sempre stati due nella storia recente, con qualche altro comprimario, come Cagiva, Suzuki, o realtà artigianali come Paton. Nulla di più di quello che succederà nel 2014, con Honda pronta a mettere nel campo (fra ufficiali e ‘private’) 9 moto e Yamaha con 4 M1 e altrettanti motori da affidare a chi li vorrà.

La storia si ripete e il motomondiale, ancora una volta, rimarca le proprie differenza dalla Formula 1. Nelle quattro ruote il campionato costruttori e quello piloti viaggiano paralleli, le scuderie si sono create negli anni un nome e un seguito. Ma nessuno ha mai costruito così tante auto da monopolizzare lo schieramento. Ci sono due Ferrari, due Mercedes, due Lotus e così via e anche se diversi team condividono lo stesso motore la situazione non potrebbe essere più diversa da quella del motomondiale. Nelle due ruote è il campionato piloti a essere dominante, con quale moto si vinca importa poco (salvo rari casi come quello della Ducati). Il business per le Case è quello di vendere le moto alle squadra, come hanno sempre fatto, inizialmente vendendo Suzuki RG o Honda NS, nel periodo dei 2 Tempi e successivamente con i leang. In questo senso la crisi economica ha solo ridotto i partecipanti. In tempi di ‘vacche grasse’ i costruttori hanno tirato troppo la corda, imponendo prezzi stratosferici alle loro moto e introducendo il leasing, che ha eliminato la possibilità di correre con una moto della passata stagione. Ma allora pagavano i tabaccai e nessuno se ne preoccupava.

Questo è stato il principale problema, non l’abbandono di Aprilia, Kawasaki o Suzuki. Lo dimostra anche la Superbike che non bastano tanti marchi diversi sui serbatoi per avere molti iscritti. Nelle derivate di serie sono presenti 6 Case, eppure il numero dei partecipanti supera appena la ventina. Torniamo indietro di 20 anni, alla prima gara del mondiale 500 del 1993 c’erano 24 piloti in pista: 17 guidavano una Yamaha (ufficiale o con telaio ROC o Harris), 3 una Honda, 2 una Suzuki, uno una Cagiva. Cinque anni dopo, nel primo GP europeo, su 23 piloti 15 erano su una Honda.

Si può affermare che la vera anomalia ci sia stata in questi ultimi anni, con Ducati, Honda e Yamaha a dividersi in parti uguali le moto in pista. Prima, a seconda degli anni, ci sono sempre state due Case ad assicurare il numero di moto necessario a rimpolpare la griglia e la qualità del campionato non ne ha mai risentito. Gli occhi degli spettatori sono sempre stati più sui piloti che sui nomi sui serbatoi. Per vedere crescere il numero degli iscritti non servono più marche, ma minori prezzi alle moto che ormai hanno raggiunto prezzi stratosferici. Con la moto da un milione di euro di Honda e i motori di Yamaha le cose potrebbero cambiare e se la classe regina diventerà una questione privata tra Honda e Yamaha non sarà certo una novità.

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